AIELLI: CARO PD TI SCRIVO…

18/12/2009 di

di ALESSANDRO AIELLI

Caro P.D. ti scrivo perché non esistono occasioni di dibattito e di elaborazione politica nei quali parlare, almeno qui nei luoghi in cui lavoro e provo a fare politica. Scrivo a un partito ideale, dunque.

Vedi caro P.D., riflettevo che le ho provate davvero tutte per farti capire che la strada che prendevi non era quella giusta, o meglio quella che ti hanno fatto prendere i tuoi capi e le tue “capesse”, ammantatisi tali non per investitura popolare, non per selezione democratica , ma per “grazia ricevuta” dal governo dell’apparato, l’unica cosa di cui si occupano e che hanno imparato a gestire con goffo cinismo che se non fosse deleterio per tutti, sarebbe ridicolo.

Anche ultimamente – dopo le animosità del recente passato – i richiami equilibrati e concilianti all’unità, al bisogno di rialzarsi, di riscoprire il valore della rappresentanza reale, il rapporto con la gente, sono stati archiviati quasi con fastidiosa sufficienza.

Tutto questo tuo malgrado, lo so, caro P.D., lo so che non è nelle tue intenzioni. Lo so che avresti voluto dare un senso a questa storia e ci stai provando, io anche ci credo che questa storia lo possa avere un senso, altrimenti non ti scriverei. E ancora fino alle ultime dimostrazioni di affetto per la democrazia e la partecipazione popolare, le primarie, quelle nelle quali non contano gli apparati ma la voce del popolo, ci ho creduto di più. Ci ho lavorato e ci ho creduto, che potessi rialzarti con orgoglio democratico e popolare, quello dei tanti che ci sono di nuovo venuti a votare. E’ stata un’effimera illusione, durata il tempo di una notte di democrazia e di popolo, dopo di che è tornata l’inconsistenza di sempre dei tuoi capi e delle tue “capesse” a far slittare di nuovo il tempo per dare un senso a questa storia e si affannano a stilare invece il solito il copione stantio del teatrino del nulla.

I nomi non li faccio, dei tuoi capi e delle tue “capesse”, li conosci bene ormai e mi è venuto a noia anche solo pronunciarli, come fa fatica il tuo popolo a riconoscersi in quei capi e in quelle “capesse”.

Loro, i tuoi capi e le tue “capesse”, si sono impadroniti di questa città e di questa provincia: sì, se ne sono impadroniti, insieme con coloro che amministrano davvero e sappiamo bene quanto male amministrano. E a te raccontano la favola del principe azzurro e di cenerentola, che questa è una terra cenerentola, nata di destra e destinata alla destra. E sì, a loro fa comodo così, ai tuo capi e alle tue “capesse”. Dimenticano di dire che questa terra di destra non è mani stata dalla nascita della Repubblica in poi e che solo la loro incapacità politica l’ha consegnata alla destra. Anzi, la destra era relegata al ruolo di marginale testimonianza politica. Ora, grazie ai tuo capi e alle tue “capesse”, la fa da padrona e con l’arrogante presunzione di essere l’unica in grado di rappresentare i bisogni e le speranze della gente.

Amano definirsi popolari , ma di popolare hanno ben poco, i tuoi capi e le tue “capesse” non li vedi mai tra il popolo, ma dicono che stanno con il popolo, sì… sui manifesti.

Amano definirsi democratici, ma di democratico non hanno nulla, i tuoi capi e le tue “capesse” non li vedi mai discutere e decidere, democraticamente, appunto, appassionarsi alle cose e scegliere per il bene della collettività. Tuttavia dicono che sono democratici.

Hanno l’ambizione di essere un partito, i tuoi capi e le tue “capesse” ma del partito non hanno le sembianze, piuttosto quattro amici al bar che definiscono i pesi e i contrappesi degli “equilibri” da mantenere.

Non sto qui a elencare la stantia e logora congerie di capi e “capesse” che conosci, gli insuccessi elettorali, la mancanza stessa del senso della misura della loro inconsistenza grazie alla quale crescere l’arroganza della destra.

Caro Partito Democratico, vorrei sbagliarmi ma vedo ogni giorno che passa di più, che grazie ai tuoi capi e alle tue “capesse” sarà difficile se non impossibile rialzarsi e dare un senso a questa storia.