Pomezia, dramma del lavoro: 30 dipendenti pronti a tutto
«Da questa sera 10 di noi inizieranno lo sciopero della fame e ci sono due persone decise a darsi fuoco. Stanno tentando di dissuaderci ma non abbiamo nulla da perdere! Vogliamo che ci siano pagati gli stipendi, non si può pretendere che la gente lavori gratis. Vogliamo che sia mantenuto il posto di lavoro». È il drammatico appello lanciato oggi da trenta lavoratori da un anno senza stipendio. Per questo hanno deciso di protestare e sono saliti sul tetto dell’azienda: sono i 30 dipendenti, in gran parte donne, della Herla Italia società commerciale che a Pomezia, vicino a Roma, ha il proprio call center. I trenta lavoratori sono ‘pronti a tuttò. E c’è chi ha con sé‚ taniche di benzina e minaccia di darsi fuoco, chi ha iniziato un pericoloso girotondo camminando sui cornicioni del tetto, chi piange, chi grida. Per pochi istanti, all’inizio della protesta, è stata impedita anche l’uscita dall’azienda all’amministratore delegato e al suo legale, che ora per• si trovano nel parcheggio. Sul posto ambulanze, una delle dimostranti ha avuto un malore, forze dell’ordine e vigili del fuoco. «Da ottobre 2009 – protestano i dipendenti – non siamo pagati e la vicenda Š anche al vaglio della Direzione provinciale del Lavoro, a cui l’abbiamo denunciata. La società avrebbe dovuto darci degli acconti, ma si Š fermata alla terza rata. Ieri sera, per farci scendere, il legale aziendale ci ha offerto l’elemosina di 250 euro, poi ha detto che non li aveva in contanti e che le banche erano chiuse. Noi stiamo lavorando ed esigiamo stipendi, arretrati e pagamento dei contributi». «Nessuno – continuano – si interessa di questa vertenza, che ha portato alla perdita di circa 350 posti di lavoro, dato che a marzo eravamo in 400 e ora siamo in 30. Forse perché‚ non siamo la Fiat. Però siamo a Pomezia, primo polo industriale del Lazio, a confine con la capitale e non ci si si accorge dello stillicidio di licenziamenti e della chiusura di tante aziende che sta avvenendo qui. Temiamo il gioco delle scatole cinesi, che la titolare fa da anni, travasando i dipendenti da una società all’altra e trasformando i contratti in contratti a progetto, che siamo costretti ad accettare pur di avere un lavoro. Temiamo che questo preluda alla chiusura totale della sede di Pomezia». A parlare per tutti è Antonella una delle donne che protestano sul tetto dell’azienda: tiene in mano una bottiglia piena di benzina. Sul tetto, in serata, anche il sindaco Enrico De Fusco, il comandante della Compagnia dei carabinieri, i Vigili del fuoco, che tentano di convincere i lavoratori a scendere. Il legale dell’azienda spiega che la trattativa per la conciliazione sar… avviata il 20 ottobre, presso l’Ispettorato del Lavoro che sta seguendo la vicenda e che la questione non Š di facile risoluzione. Ma nessuno assicura ai dipendenti il pagamento delle loro spettanze, neppure di quelle rate da 250 euro mensili che erano riusciti a strappare per gli arretrati di un anno. Sembra che l’amministratore delegato, Fulvio Cesile, sia intenzionato a dimettersi. Il sindaco di Pomezia che si è detto preoccupato per l’esasperazione a cui sono arrivati i lavoratori, chiederà l’intervento del Prefetto di Roma sulla vertenza.
Tutta la solidarietà e l’umana compassione per questi lavoratori portati alla disperazione dalla sfrenata avidità dei nostri capitalisti finalmente “scatenati” dalle Leggi Treu e Biagi . Dal caporalato legale scadremo allo schiavismo puro . E tutto ciò perché lo VUOLE il dio mercato ( dicono loro ) . Forse è tempo di rileggere Marx .