CAMPI NOMADI A ROMA: QUESTIONE MAI RISOLTA
Una minoranza, quella dei nomadi nella capitale, ma con cui tutti i sindaci hanno dovuto fare i conti da almeno trent’anni; una questione spinosa posta spesso al centro di campagne elettorali, sia sul versante dell’ordine pubblico sia sul versante politico, e che ha mosso la solidarietà di molti e l’avversione di altrettanti.
L’arrivo massiccio dei rom a Roma risale agli anni ’80, quando la crisi economica jugoslava spinse molti gruppi a spostarsi in Italia dopo aver trovato chiuse le porte di Francia e Germania. Secondo un censimento della Comunità di Sant’Egidio, nel 1987 a Roma erano presenti 1.975 nomadi a cui dovevano essere aggiunti circa 1.000 nomadi abruzzesi che però erano stanziali e vivevano in vere e proprie case. I nomadi erano dislocati alla Romanina, Spinaceto, Ostia, Torre Angela, Tor Bella Monaca, Acquedotto Felice. È dell’8 novembre 1988 il primo corteo di nomadi a Roma: in quell’occasione in 300 chiesero l’applicazione della legge regionale sui campi sosta e sui diritti, corteo che si snodò al centro della città per terminare in piazza del Campidoglio, dove una delegazione incontrò l’allora sindaco Pietro Giubilo e dove fu allestito un campo sosta simbolico. In quell’anno nacque il campo della Muratella, a due passi dal campo abusivo in cui ieri ha perso al vita il piccolo Marius. Nel 1990 i campi autorizzati erano 13 e 6.000 erano i nomadi. È il 1994 quando l’allora sindaco Francesco Rutelli annuncia la costituzione di 10 campi sosta attrezzati, al posto dei 40 esistenti, e fissa un numero chiuso. Per i nomadi, era previsto un tesserino di riconoscimento e «nessun aiuto per i fuorilegge».
Numerose proteste, con tanto di Gra bloccato, o Via Aurelia occupata, seguirono l’annuncio. I cittadini avevano paura di trovarsi i nomadi troppo vicini alle loro case. In più di un’occasione ci furono frizioni tra sindaco Rutelli con il direttore della Caritas Diocesana monsignor Luigi Di Liegro, che era solito dire «la solidarietà dovrebbe guidare la soluzione alla situazione dei nomadi a Roma». Nel 1995 i nomadi a Roma sono 6.500, nel 1998 il numero è destinato a salire ancora: 7.000 secondo l’Opera nomadi, di cui 4.000 stranieri e 2.500 italiani. Il 16 ottobre 2000 viene concluso lo sgombero del Casilino 700 dove vivevano 1.200 rom. In quell’occasione Rutelli disse: «Non c’è più una favela». Nel 2005, sotto Walter Veltroni, chiuse lo storico campo di Vicolo Savini, oltre a numerosi altri, come Muratella: «Dal ’94 – disse l’allora sindaco – quando i campi nomadi in città erano 51, si è passati ai 27 di oggi». Il progetto di Veltroni, che dal 2007 ebbe a che fare con il flusso dei cittadini provenienti dai paesi neocomunitari ma che fu sempre contrario alle espulsioni «non previste dalla normativa europea», era di creare quattro villaggi attrezzati della solidarietà fuori dal raccordo anulare. Idea criticata da molti e poi ritirata dallo stesso sindaco a favore di una riorganizzazione dei campi esistenti. Si arriva al 2008, con l’elezione di Gianni Alemanno che della questione nomadi e della loro espulsione in caso di reati ha fatto il suo cavallo di battaglia in campagna elettorale. Sotto il suo mandato è stato chiuso il Casilino 900. E l’idea adesso è quella di costruire 13 campi, lo stesso numero che c’era nel ’90.