SEQUESTRATI I BENI DELLA FAMIGLIA DI MICHELE ZAGARIA

14/12/2009 di

Dalle prime ore di oggi agenti del Centro operativo di Napoli della Direzione investigativa Antimafia stanno eseguendo decreti di sequestro patrimoniale emessi, su proposta del direttore della Dia, il generale Girone, dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a carico di cinque persone ritenute affiliati o prestanome, riconducibili alla famiglia di Michele Zagaria, capo dell’omonimo clan aderente all’organizzazione camorristica detta dei Casalesi e latitante dal 1995.

Si tratta di un totale di beni per un totale di 20 milioni di euro: colpiti gli interessi economici del clan camorristico che fa capo alla famiglia Zagaria che, sottolinea la Dia, con la complicità dell’imprenditore parmense Aldo Bazzini, aveva investito cospicui capitali provenienti da traffici illeciti.

I beni sequestrati nell’ambito dell’operazione denominata ‘Maisonnettè su proposta del direttore della Dia generale Antonio Girone facevano capo alla famiglia Zagaria che, «con la piena complicità -spiegano dalla Dia di Napoli- dell’imprenditore parmense Aldo Bazzini, aveva investito cospicui capitali provenienti da traffici illeciti attraverso la costituzione di una fitta rete di ditte e società, costituite ad hoc, operanti nel settore delle costruzioni edili e dell’intermediazione immobiliare».

Il denaro veniva soprattutto investito in immobili di lusso situati in zone ad alta valenza turistica tipo la riviera della Versilia o nella campagna cremonese dove era ristrutturata una vecchia scuola poi trasformata in due lussuose abitazioni finemente arredate. Tra i beni sequestrati vi sono anche numerosi conti correnti e numerose polizze ‘vità per un valore di circa 2 milioni di euro. Bazzini attraverso «il proprio rilevante patrimonio – è scritto in una nota della Dia – geneticamente connotato dal requisito della illiceità in quanto frutto del reinvestimento delle cospicue risorse di sicura provenienza illecita del clan Zagaria e pertanto nella piena disponibilità di Pasquale Zagaria, è senza dubbio il principale artefice del reinvestimento dei proventi dell’attività criminale al punto di essere stato condannato per la sua partecipazione all’associazione di tipo mafioso Zagaria».

L’ergastolo a Zagaria. Due ergastoli, cinque condanne, cinque assoluzioni. Queste le sentenze emesse a Roma a carico dei 12 imputati arrestati nell’ambito dell’operazione «Anni Novanta» e processati dalla Corte d’Assise del Tribunale di Latina. La sentenza è stata letta nell’aula bunker del carcere di Rebibbia a Roma. Ergastolo per il boss della camorra Michele Zagaria e per il leader del gruppo laziale Ettore Mendico, accusati rispettivamente degli omicidi di Giovanni Santonicola e Rosario Cunto, entrambi avvenuti nel sud pontino nel corso del ’90. Quindici anni a Orlandino Riccardi, per l’estorsione Grassi (il pubblico ministero della Dda di Roma Diana De Martino aveva chiesto l’ergastolo anche per lui); 10 anni per Domenico Buonamano e Antonio Antinozzi; 8 anni per Luigi Pandolfo; 3 anni e 4 mesi per Antonio La Valle. Assolti invece Maurizio Mendico, Luigi Riccardi, Luigi Cannavacciuolo, Giuseppe Sola e Giuseppe Ruggieri. Gli imputati erano tutti accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio ed estorsione in una indagine eseguita dai carabinieri di Latina nel 2005 in collaborazione con la procura di Napoli e partita dall’uccisione, nel 1990, a Santi Cosma e Damiano dell’imprenditore Giovanni Santonicola. I giudici del collegio, presieduto da Raffaele Toselli, hanno anche deciso che i danni saranno da liquidarsi in separata sede alle parti civili, tra le quali c’è anche la Regione Lazio.