Pasqua, il messaggio del vescovo Petrocchi

07/04/2012 di
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Il messaggio del Vescovo di Latina Giuseppe Petrocchi in occasione della Pasqua:

La Pasqua è celebrazione della vittoria di Gesù sulla morte – anzitutto quella segnata dal peccato – e trionfo della vita vera, animata dalla verità e dall’amore.

Siamo immersi in una società che rifulge di luci artificiali – scintillanti, prive però di valore permanente -, ma scarseggia della Luce autentica, quella che splende nella Parola-fatta-carne.

Viviamo, dunque, in un’epoca culturalmente frammentata, in cui la molteplicità – invasiva e spesso contraddittoria – dei messaggi determina un labirinto di proposte seducenti, dove è facile smarrirsi. Epoca ricca di superfluo, la nostra, e, al tempo stesso, povera del necessario. Occorre liberarsi dall’ipnosi dell’effimero e del frivolo per cercare, con determinazione, ciò che conta e che non passa (cfr. Lc 10,38-42) cioè, il significato ultimo della vita, per rispondere alle ineludibili domande radicali: “quale è il punto assoluto di partenza? dove andiamo? che senso ha l’esistenza, personale e cosmica? perché il dolore? cosa c’è dopo la morte? quale è il destino finale della storia?”.

Dominano largamente il “soggettivismo cognitivo” (poggiato sull’assunto che la ragione non può raggiungere verità oggettive e valide per tutti) e la provvisorietà delle scelte importanti, a scapito dei valori universali e delle decisioni che impegnano “per sempre”. Prevale, in larga parte della mentalità corrente, il relativismo (nel quale il principio del “secondo me” diventa il criterio supremo e insindacabile di valutazione del bene e del male) e si impone l’economicismo (per cui ciò che conta è la forza “monetaria” di cui si dispone e il conseguente potere d’acquisto): esaminati sotto questo profilo, si comprende perché secolarismo e consumismo vadano sempre a braccetto. Anche l’edonismo, che innalza il piacere a fine esclusivo del comportamento, compare tra gli idoli di questo mondo.

In tale contesto, non c’è da meravigliarsi se molti scambiano la libertà (che è adesione alla verità nell’amore) con lo spontaneismo (che è dipendenza immatura dalla propria istintività), così come confondono il piacere (che è gratificazione dei propri impulsi) con la gioia (che è pienezza interiore scaturita dal bene compiuto).

L’“apparire” prevale sovente sull’“essere”, per cui, soprattutto nel circuito massmediatico, il valore attribuito della persona è spesso giocato sull’immagine. Ma quando si seguono le spinte mutevoli e spesso irrazionali della propria emotività (assecondando lo slogan: “fa ciò che senti”) ci si espone inevitabilmente alla superficialità, che genera delusione, e al naufragio drammatico delle proprie aspettative.

In molti ambienti si registra un’avvilente e diffusa indigenza spirituale, con il conseguente spaesamento nella direzione da imprimere alla propria vita: così molti diventano vagabondi più che pellegrini nella storia. L’individualismo, figlio dell’egoismo, spezza le relazioni e produce una somma di solitudini: si diventa gente in “serie”, cioè omologata, più che “comunità” di persone, solidali e creative.

L’esperienza insegna che l’ombra proiettata dall’“eclisse etica” – che sembra dilatarsi – può produrre guasti profondi e devastanti, a livello individuale e comunitario. Perciò, va detto con fraterna franchezza che larga parte della sofferenza, che colpisce strati crescenti della popolazione, è da ricondurre ad atteggiamenti eticamente sbagliati e non può essere imputata solo alla cattiveria degli “altri” o ad eventi esterni sfavorevoli. Già gli antichi avevano capito che il vizio porta in sé il proprio castigo, come la virtù il suo premio.

L’ultimo mito a cadere, in questi ultimi decenni, è stato quello di un progresso economico irreversibile e all’infinito. La crisi mondiale, che come una valanga si è abbattuta anche sul nostro sistema produttivo e finanziario, ha smentito clamorosamente questa mistificante illusione.

In campo religioso sembra spesso affermarsi un devozionismo marcato da un vistoso deficit di fede e una sacralità poco attraversata dal Vangelo.

Tuttavia, per evitare di dare un quadro fosco, vorrei – almeno in modo telegrafico e inevitabilmente incompleto – citare alcuni degli aspetti positivi, altrettanto numerosi, che compaiono nella nostra cultura, poiché lo Spirito di Dio è sempre all’opera nella storia. Giustamente, nell’elogio della modernità, vengono messi in evidenza: una più matura coscienza della dignità della persona; un motivato bisogno di partecipazione; la domanda crescente di trasparenza e di autenticità; una più larga e intensa disponibilità al dialogo; la centralità assegnata all’amicizia; la sete di autentica libertà; una convinta valorizzazione del “genio” femminile e della missione della donna; una diffusa sete di giustizia, di solidarietà e di pace; il sano apprezzamento del valore della corporeità; un senso più vivo della cura per il creato e per il rispetto della natura; una consapevole apertura alla mondialità, favorita da una cultura ormai globalizzata; l’opportunità di una comunicazione immediata e planetaria; lo sviluppo delle scienze e delle nuove tecnologie mediatiche (si pensi ad internet e ai formidabili strumenti dell’universo informatico e telematico).

Per questi ed altri motivi – sui quali conto di ritornare successivamente – il discorso sulla contemporaneità si sottrae ad ogni cupo negativismo e si apre sull’orizzonte della speranza cristiana, definitivamente rischiarato dall’evento della Pasqua. Infatti, chi crede davvero che Cristo è risorto – e ha vinto definitivamente il peccato, instaurando già da ora il Regno di Dio,- non può essere pessimista.

Per affrontare le sfide di questa stagione della storia e testimoniare il Vangelo, esercitando anche una cittadinanza costruttiva nella società, dobbiamo mantenere un efficace e permanente spirito di conversione, tornando all’essenziale, con passo deciso. Mi sia consentito di indicare almeno alcune piste di questo cammino verso il “centro” dell’esperienza cristiana.

  • Tornare all’essenziale puntando alla maturazione di una fede compatta, ben ancorata alla Parola di Dio e al Magistero della Chiesa. Una fede purificata e solidamente motivata, professata al “plurale”, perché chi proclama il “credo” lo fa sempre come membro del Popolo di Dio. Una fede gioiosa, perché mossa dalla certezza che Gesù rivela e sa realizzare il progetto di Dio racchiuso in ogni persona. Infatti, lasciato a se stesso, l’uomo, nonostante i suoi sforzi, «non è in grado di dare un senso alla storia e alle sue vicende: la vita rimane senza speranza. Solo il Figlio di Dio è in grado di dissipare le tenebre e di indicare la strada»1.

  • Tornare all’essenziale partecipando attivamente – ciascuno con la grazia ricevuta – alla vita della Chiesa, come «mistero di comunione trinitaria in tensione missionaria»2. Infatti, come sottolinea Giovanni Paolo II, «credere in Cristo significa volere l’unità; volere l’unità significa volere la Chiesa; volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l’eternità»3. E l’unità evangelica (che è, insieme, pensiero teologale e vita concreta) si costruisce attorno al Papa, posto a presiedere la Chiesa universale; ai Vescovi, garanti della comunione nelle chiese particolari; ai parroci, pastori delle comunità locali. L’unità evangelica è anche incessante ricerca dell’incontro con gli altri, affinché la presenza del Risorto nella carità fraterna renda accessibile la vita del Cielo già su questa terra.

  • Tornare all’essenziale nel promuovere la famiglia fondata sul matrimonio-sacramento, come primaria comunità cristiana e cellula fondante della società. Essa, infatti, costituisce una vera Chiesa domestica, insostituibile scuola di vangelo e di umanità. È all’interno dell’”alleanza coniugale“, fedele e aperta alla vita, che i genitori sviluppano l’impegno educativo, formando, attraverso la testimonianza, la mente e il cuore dei loro figli. I genitori cristiani, infatti, sanno che, per assolvere alla loro fondamentale missione pedagogica, non basta offrire ai figli assistenza e affetto, ma occorre insegnare loro l’arte di vivere. Impresa, questa, che esige la parola saggia, la prossimità affettuosa e la testimonianza ferma, ricordando sempre che si educa attraverso ciò che si dice e si fa, ma anzitutto attraverso ciò che si è. A un papà e a una mamma che mi chiedevano: “come possiamo essere bravi genitori?”, ho risposto: “siate bravi cristiani”, poiché quanti incontrano Gesù e Lo lasciano agire nella loro vita, sono resi capaci di compiere le Sue opere (cfr. Gv 14,12). Per questo, la famiglia diventa se stessa nella misura in cui fa-Pasqua.

  • Tornare all’essenziale puntando sulla santità, come via aperta, sempre e a tutti, da percorrere insieme. «La vocazione ad essere “santi, come lui è santo” (Lv 11,44) – scrive Giovanni Paolo II – si attua quando si riconosce a Dio il posto che gli compete. Nel nostro tempo, secolarizzato e pur affascinato dalla ricerca del sacro, c’è particolare bisogno di santi». Perciò la santità, dono da implorare incessantemente, «costituisce la risposta più preziosa ed efficace alla fame di speranza e di vita del mondo contemporaneo»4. Sono i santi – gli fa eco Benedetto XVI – «i veri riformatori»: per tale ragione «solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo». Infatti – conclude accoratamente il Papa – «che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore?»5.

Non dimentichiamolo mai: questa tensione – personale e collettiva – ad avanzare nella perfezione evangelica rappresenta il servizio più prezioso che possiamo rendere alla Chiesa, perché essa sia sempre più Chiesa, e, proprio per questo, più capace di promuovere la nuova evangelizzazione. «Non basta – perciò – rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggiore acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo ardore di santità»6. E questa vita nuova in Cristo, attinta e alimentata nella Chiesa, trova nel fare-Pasqua la sua fonte e il suo culmine.

  • Tornare all’essenziale nel dare la dovuta attenzione ai poveri, che non vanno identificati solo con gli indigenti (quelli, cioè, che versano in situazioni economiche precarie o gravemente carenti), ma con tutti coloro che mancano del necessario per conseguire la crescita piena e integrale della loro umanità.

La povertà, purtroppo, ha numerosi volti, diversi nei tratti e nel grado di drammaticità: la povertà può essere spirituale, culturale, psicologica, sociale, corporea (come nel caso di malattie), finanziaria. Queste varie tipologie sono tra di loro interconnesse, come un sistema di vasi comunicanti: l’aumento dell’una tende a suscitare l’incremento delle altre. È difficile, perciò, che la povertà si presenti con una sola fisionomia: in genere compare in forme plurime e associate. Tutte vanno combattute, sapendo però – come ci avverte il Vangelo (cfr. Mt 10,28), che la più grave di tutte è quella spirituale. Ora, proprio questa indigenza dell’anima appare, nella odierna mentalità secolarizzata, in forte espansione. Va sottolineato che la povertà spirituale – quasi sempre accompagnata da degrado etico – è immancabilmente accompagnata da un variegato corteo di sofferenze (subìte dentro e provocate fuori), che il male causa quando viene teorizzato e agìto. Tali patologie morali, inoltre, sono contagiose e – se non adeguatamente contrastate e curate – tendono a diventare epidemiche. Ecco perché una società opulenta, ma eticamente malata o infetta, è anche infelice: cioè, produce ed esporta malessere.

La Pasqua, vissuta e donata, costituisce la vera terapia per queste “malattie dell’anima” e rappresenta la spinta più potente a costruire la civiltà della condivisione, della fraternità, della giustizia e della pace.

Maria, donna della Parola – ascoltata, vissuta e donata -, ci aiuti a essere testimoni della Pasqua, e, per questo, discepoli che annunciano e rendono “visibile” la comunione evangelica, che lo Spirito accende nel cuore dei credenti. Con questa lieta speranza, auguro a tutti e a ciascuno che, partecipando, come Maria, all’Amore che vince la morte e spalanca l’ingresso alla Vita, possiamo diventare anche noi “finestre spalancate” sull’orizzonte infinito e glorioso della Risurrezione di Gesù.

+ Giuseppe Petrocchi

Vescovo

1 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Ecclesia in Europa ( 28 giugno 2003), n. 44.

2 Id., Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), n. 12.

3 Id., Lettera Enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995), n. 9.

4 Id, Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale per le Vocazioni 1999 (1 ottobre 1998), n. 2.

5 Benedetto XVI, Discorso durante la Veglia con i giovani nella XX Giornata Mondiale della Gioventù (Colonia, Spianata di Marienfeld, 20 agosto 2005).

6 Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris Missio (7 dicembre 1990), n. 90.
  1. Speriamo che la santa Pasqua ci faccia diventare tutti piu’ buoni, meno fascisti, meno Rom e meno delinquenza, piu’ Giustizia e Questa esortazione e’ rivolta ai Giudici che facciano un’attimo un esame di coscienza. Un’altra esortazione la rivolgerei alla redazione che non ci ha detto neanche una Parola sulla SCANDALOSA Delibera PROVINCIALE, per spendere un po di Soldini a Fondi per UN CAMPUS(?!?!?) invece di Sistemare le Scuole esistenti a dir poco fatiscenti in Provincia zitti zitti, in men che non si dica deliberano un Spesa Sostanziosa senza alcun SENSO? Qualocuno malignamente in via Costa ha detto Un regaluccio del Buon Cusani al compagno di merende di Fondi il Fazzone, ci sara’ del Vero?