Mafia a Fondi, processo movimentato tra scontri in aula i testi smemorati

20/12/2011 di
tribunale-latina

di Marco Cusumano (Il Messaggero 20-12-2011)

«Fondi è una città di lavoratori, non di mafiosi». E’ la prima reazione a caldo dopo la lettura della sentenza ed arriva da dietro le sbarre, dagli imputati che aggiungono «questo è un processo politico». Solo una battuta dal pubblico ministero Cristina Palaia, che si è dichiarata soddisfatta per l’esito del procedimento, che, in sostanza, ha confermato quasi tutte le ipotesi contestate. Aspettano invece le motivazioni per esprimere qualche giudizio in più i legali, che annunciano ovviamente il proseguo della battaglia in Appello. Una sentenza non condivisa dal collegio difensivo, composto da tantissimi avvocati, tra i quali Angelo Palmieri, Maria Antonietta Cestra, Domenico Oropallo, Giulio Mastrobattista, Giuseppe Lauretti e Angelo Fiore.

Un processo sicuramente atipico, carico di polemiche e nato davanti ai riflettori. Uno scontro durissimo tra accusa e difesa, ma anche tra gli avvocati e il giudice Lucia Aielli che si è trovata a gestire momenti di forte tensione. Più volte gli avvocati hanno contestato l’atteggiamento del tribunale, ritenendolo penalizzante al punto da mettere in discussione il diritto di difesa.

E’ stata tentata anche la via della ricusazione, con motivazioni legate anche al clamore mediatico che avrebbe in qualche modo condizionato il giudice. Ma il processo, alla fine, è arrivato a conclusione nonostante le difficoltà e gli ostacoli.

Di certo hanno colpito i tanti «non ricordo» dei testimoni ascoltati in aula, il fatto che praticamente nessuno degli imprenditori abbia detto chiaramente di aver ricevuto minacce. Un elemento che, secondo la difesa, è un segno evidente della carenza di elementi probatori. Al contrario, secondo l’accusa, il clima di paura avrebbe spaventato così tanto le vittime da limitare anche le loro deposizioni, tanto che il giudice dispose l’acquisizione delle precedenti dichiarazioni rilasciate dai testimoni davanti alle forze dell’ordine, ma non confermate in aula.

Altro elemento importante è stato quello dei pentiti, figure spesso elogiate dall’accusa e demonizzate dalla difesa. Clamoroso il caso di Giacomo Lauro che disse candidamente che secondo lui «i Tripodo non c’entrano nulla con le attività criminali calabresi» e che erano stati tirati in ballo «per la figura del padre». Una dichiarazione esattamente opposta a quella che lui stesso aveva rilasciato nel 2007. Di fronte alla contestazione del pm, Lauro ha candidamente ammesso che all’epoca «confermava quanto gli veniva chiesto perché ciò gli portava benefici in quanto pentito».

  1. Ma vogliamo mettere sotto inchiesta anche sti Avvocati di mafiosi e malaffattori? Se si colpissero anche i conniventi e responsabili del malaffare, forse un passo avanti l’avremmo fatto. Qualcuno dira’ ma fanno il loro lovoro!?!…… si ma in certe occasioni e soprattutto davanti all’evidenza dei fatti….. il loro atteggiamento dovrebbe essere… del tipo.. “Ci affidiamo alla clemenza della Corte” punto. Invece questi signori prezzolati Inventano le cose piu’ Strane e qualche volta inspiegabilmente?!?! ottengono assoluzioni e/o condanne per i loro assistiti delinquenti a dir poco vergognose, mah?

  2. Io ci sono rimasto male quando ho letto questo: “Di fronte alla contestazione del pm, Lauro ha candidamente ammesso che all’epoca «confermava quanto gli veniva chiesto perché ciò gli portava benefici in quanto pentito».”
    Cioè… e noi paghiamo anche per la protezione dei pentiti…