MORIA DI API IN PROVINCIA DI LATINA, IL SETTORE E’ IN GINOCCHIO

05/09/2008 di

di CLAUDIA PAOLETTI *

La consistente moria delle api in terra pontina ha messo in ginocchio l’intero comparto. La provincia di Latina è al secondo posto dopo Roma per produzione di miele: 80 gli apicoltori dichiarati (nel Lazio sono 954) per circa 7.500 alveari (nel Lazio sono 28.000) che producono oltre 455 tonnellate (nel Lazio sono 1.700) di miele l’anno. Secondo l’Aral (Associazione regionale apicoltori Lazio) si è verificata una perdita del 30% dell’intero patrimonio apistico.

Tra tutti i campioni di api analizzati dall’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, in 6 apiari è stata riscontrata una mortalità superiore al 50%. Dei 6 apiari indagati, in 4 è stata riscontrata varroatosi associata a virosi (“Parasitic Mite Syndrome”). Sul litorale sono anche stati evidenziati due sospetti avvelenamenti, ai quali però non è stato possibile dare conferma tramite analisi di laboratorio. «Quel 50% si registra qui da noi – sostiene Valerio Piovesan, apicoltore da 25 anni e responsabile Aral della provincia di Latina – con la conseguente perdita di produzione di miele di circa 5 milioni di euro. Tra le cause della morte: la varroa e la senotinia tricuspis, una mosca e un parassita che si nutrono del sangue delle api; il gruccione, un uccello migratore che si nutre di api. Tra le cause più specifiche: la sofferenza in cui versano gli eucalipti, fonte di grande reddito per gli agricoltori, da 10 anni sono attaccati da un parassita che occlude i vasi linfatici delle foglie; l’agricoltura intensiva che ha un forte impatto antropico sulla moria delle api: per le produzioni fuori stagione si utilizzano prodotti chimici (concimi, diserbanti, fitofarmaci) che alterano l’ambiente e l’ecosistema, non ci sono più fioriture spontanee. Nella zona appenninica il fenomeno è attenuato o inesistente». Api “disorientate” dunque ma anche “stressate” dal superlavoro. «L’apicoltore a livello industriale – continua Piovesan – ritiene che l’allevamento intensivo delle api sia fonte di alto reddito, così da indurre e ottenere apiari sempre più grandi che producono grandi quantità di miele e derivati, esponendo questi insetti a maggior rischio di malattie e stress, ricorrendo a pratiche senza scrupoli, a volte drastiche, con prodotti inquinanti, veicolati da tempi e interventi economici». Quali soluzioni? «Mantenere nel futuro in vita l’ape non sarà facile – conclude Piovesan – l’uomo dovrà dotarsi di buon senso, esperienza e cultura, non costa molto ma possono fare tanto per questo insetto laborioso che chiede solo rispetto. L’unica via da seguire sia l’apicoltura biodinamica e biologica, lasciare che la natura faccia il suo corso». (* Il Messaggero, 05-09-2008)