Processo ai Di Silvio, i pentiti parlano dei legami con la politica

27/11/2019 di

Due ore in videoconferenza, rispondendo alle domande precise dei pm Spinelli e De Lazzaro sulla criminalità a Latina. Renato Pugliese, pentito chiave del clan Di Silvio, ha parlato nell’udienza del processo Alba Pontina.

Il figlio di Costantino “Cha Cha” Di Silvio è collaboratore di giustizia dal 2017. E’ detenuto in una località segreta e, insieme ad Agostino Riccardo, sta parlando da mesi consentendo ai magistrati di scardinare il sistema criminale di Latina e provincia.

Ieri ha parlato molto dei rapporti tra clan e politica, partendo dai mesi successivi all’operazione Don’t Touch del 2015. “Arrestarono mio padre – ha detto Pugliese in aula – e io mi trovai obbligato ad assumere delle responsabilità, di questo abbiamo riflettuto io e Agostino Riccardo. Decidemmo di impegnarci nelle estorsioni e soprattutto nei rapporti con la politica che poteva portarci guadagni notevoli. Lui conosceva Pasquale Maietta e disse che con le elezioni amministrative di Latina e Terracina del 2016 si potevano davvero fare soldi, grazie alle affissioni e non solo”.

L’impegno diventò concreto, fu coinvolto anche il capoclan Armando Di Silvio che diede il via libera.  “Ci siamo presi in mano tutta la politica sia a Latina che Terracina – racconta Pugliese davanti ai giudici – e gli altri non hanno detto nulla perché avevano paura di Armando Di Silvio”.

Fa anche i nomi, Pugliese, gli stessi che aveva indicato durante gli interrogatori: Gina Cetrone, ex consigliere regionale candidata con “Sì cambia” a Terracina e la lista “Noi con Salvini” di Latina. Sono questi gli interlocutori politici del clan, secondo quanto riferisce il pentito.

“Ci siamo messi d’accordo con i politici sia per gestire la vendita dei voti che per l’attacchinaggio dei manifesti. Era nostro l’80% degli spazi e nessuno si azzardava a staccarli”. Per paura del clan nessuno interferiva. Pugliese indica anche delle cifre: 30.000 manifesti attaccati per circa 20.000 euro di compenso.

L’udienza è stata sospesa del tardo pomeriggio. Pugliese continuerà a parlare in aula il 10 dicembre.


MAFIA E DI SILVIO, LA SENTENZA DI ROMA.

Un primo filone di “Alba Pontina” si è già concluso a Roma con pesanti condanne. Secondo il gup di Roma «il clan Di Silvio rappresenta una associazione di stampo mafioso di nuova formazione, territorialmente insediata a Latina, di dimensioni per lo più familiari, la cui forza di intimidazione deriva dalla fama criminale raggiunta dal clan nel sud del Lazio, ancorché si manifesti necessariamente con le tradizionali forme di violenza e minaccia, così assoggettando la popolazione locale alle regole prevaricatrici della cosca». Il giudice paragona il clan alle «organizzazioni mafiose tradizionali».

PERCHE’ E’ MAFIA. C’è poi una lunga parte della sentenza dedicata al concetto di mafia. Il giudice Annalisa Marzano, dopo una specifica analisi delle sentenze degli ultimi anni e dell’evoluzione sociologica del concetto di mafia, indica come discriminante «il nesso causale tra la forza intimidatrice e la condizione di omertà e assoggettamento» nell’ambiente in cui il gruppo criminale domina. Da questo punto di vista il clan Di Silvio è mafia.

«sono stati acquisiti – continua il giudice – numerosi indicatori fattuali quali l’ampiezza e l’indeterminatezza del programma criminale; la varietà e molteplicità dei reati contestati tutti in prevalenza connotati da violenza; la rigorosa organizzazione gerarchica interna e il rispetto riservato al capo del clan; la stabile incidenza egemonica in un determinato ambito geografico e la conflittualità con altri gruppi locali; l’uso e la disponibilità costante di armi (…)». «Tutti questi aspetti – scrive il giudice – se osservati in modo unitario e non parcellizzato, sono espressione di un potere coercitivo e di soggezione dell’associazione consolidatosi nel tempo».

TUTTI SOTTOMESSI AL CLAN. «Tutte le fasce sociali, indistintamente, erano sottomesse alla forza prevaricatrice e intimidatoria della nota famiglia rom: cittadini comuni, piccoli imprenditori, professionisti (commercialisti e avvocati) financo gli stessi criminali comuni dovevano piegarsi alle regole criminali dettate dai Di Silvio».

ALCUNI STRALCI DELLA SENTENZA: