Alba Pontina, ecco perché il clan Di Silvio è mafia: gli stralci della sentenza

05/11/2019 di

La sentenza di Alba Pontina riconosce per la prima volta l’attendibilità dei pentiti Renato Pugliese e Agostino Riccardo. «Questa è la storia di Latina degli ultimi venti anni» scrive il giudice Annalisa Marzano all’inizio delle 280 pagine di motivazioni della sentenza, la prima che definisce il clan Di Silvio “mafia”.

Il Messaggero analizza la sentenza sottolineando alcuni aspetti fondamentali. L’indagine, scrive il giudice, è recente ma affonda le proprie radici «sin dai primi anni 2000», ricostruendo il tessuto criminale della città, la sua evoluzione e la sua crescita.

Secondo il gup di Roma «il clan Di Silvio rappresenta una associazione di stampo mafioso di nuova formazione, territorialmente insediata a Latina, di dimensioni per lo più familiari, la cui forza di intimidazione deriva dalla fama criminale raggiunta dal clan nel sud del Lazio, ancorché si manifesti necessariamente con le tradizionali forme di violenza e minaccia, così assoggettando la popolazione locale alle regole prevaricatrici della cosca». Il giudice paragona il clan alle «organizzazioni mafiose tradizionali».

PERCHE’ E’ MAFIA. C’è poi una lunga parte della sentenza dedicata al concetto di mafia. Il giudice Annalisa Marzano, dopo una specifica analisi delle sentenze degli ultimi anni e dell’evoluzione sociologica del concetto di mafia, indica come discriminante «il nesso causale tra la forza intimidatrice e la condizione di omertà e assoggettamento» nell’ambiente in cui il gruppo criminale domina. Da questo punto di vista il clan Di Silvio è mafia.

«sono stati acquisiti – continua il giudice – numerosi indicatori fattuali quali l’ampiezza e l’indeterminatezza del programma criminale; la varietà e molteplicità dei reati contestati tutti in prevalenza connotati da violenza; la rigorosa organizzazione gerarchica interna e il rispetto riservato al capo del clan; la stabile incidenza egemonica in un determinato ambito geografico e la conflittualità con altri gruppi locali; l’uso e la disponibilità costante di armi (…)». «Tutti questi aspetti – scrive il giudice – se osservati in modo unitario e non parcellizzato, sono espressione di un potere coercitivo e di soggezione dell’associazione consolidatosi nel tempo».

TUTTI SOTTOMESSI AL CLAN. «Tutte le fasce sociali, indistintamente, erano sottomesse alla forza prevaricatrice e intimidatoria della nota famiglia rom: cittadini comuni, piccoli imprenditori, professionisti (commercialisti e avvocati) financo gli stessi criminali comuni dovevano piegarsi alle regole criminali dettate dai Di Silvio».

ALCUNI STRALCI DELLA SENTENZA ALBA PONTINA (clicca per ingrandire)