Terrorismo, in silenzio i 5 arrestati nel blitz tra Latina e Roma

31/03/2018 di

Sono restati in silenzio. Hanno deciso di non rispondere alle domande del gip a poche ore dall’arresto. La presunta rete italiana di Anis Amri, autore dell’attentato a Berlino e ucciso il 23 dicembre del 2016 a Sesto San Giovanni, lancia agli inquirenti un messaggio chiaro e di assoluta compattezza: «noi, al momento, non intendiamo fornire alcun elemento al vostro impianto accusatorio», sembrano dire con la scelta del silenzio.

Nel carcere di Rebibbia, il gip Costantino De Robbio, ha quindi potuto solo prendere atto della scelta processuale dei cinque. Il primo ad avvalersi è stato proprio il palestinese Abdel Sialem Napulsi, sul quale pesa l’accusa più pesante: addestramento ad attività con finalità di terrorismo. Sul suo tablet, trovato nell’appartamento di viale Marconi dove viveva in affitto, sono stati trovati video e documenti. Materiale che ha confermato agli inquirenti il suo processo di radicalizzazione e di autoindottrinamento.

Gli inquirenti ribadiscono, comunque, che non c’è stato alcun elemento che ha fatto sospettare l’organizzazione e la messa in atto di attentati terroristici. Anche l’ipotesi di una azione nella metropolitana di Roma, da compiere nel 2015, citata da un indagato sentito nel luglio scorso, resta tale.

«Non abbiamo trovato alcun riscontro o elemento concreto su questo presunto attacco», spiegano gli inquirenti. «Non c’è assolutamente alcun attentato sventato», precisa il capo della Digos di Latina, Walter Dian, aggiungendo che il capoluogo pontino «non è assolutamente da considerarsi come la Molenbeek d’Italia. C’è un costante monitoraggio e un’attività di prevenzione. E questo ha portato alla recente operazione antiterroristica».

L’attività di indagine punta adesso a chiarire quali fossero i ruoli nella cellula che gravitava proprio nell’area di Latina. Al momento gli indagati sono circa una ventina ma le persone «attenzionate» molte di più. «Non siamo in presenza di lupi sciolti», affermano da piazzale Clodio. Il che fa supporre che la struttura avesse continui scambi e contatti. Agli altri quattro arrestati, tutti cittadini tunisini, viene contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il gruppo criminale, secondo quanto scrive il gip Costantino De Robbio nell’ordinanza di arresto, «era in contatto con un amico di Amri e avrebbe fatto entrare in Italia un centinaio di connazionali a cui fornivano documenti falsi e il successivo trasporto per il paese di destinazione».