A Latina Renzi-show tra cabaret, voli pindarici e stilettate

08/11/2016 di
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Chi pensava che nel panorama politico italiano il comico prestato alla cosa pubblica fosse Grillo, dovrà quantomeno ricredersi sulle potenzialità cabarettistiche di Matteo Renzi dopo il monologo andato in scena ieri pomeriggio al SuperCinema di Latina. In splendida forma il Premier che con sagaci battute – con tanto di puntuale risata di accompagnamento del pubblico -, mezze stoccate indirizzate a Bruxelles e stilettate vere e proprie nei confronti delle opposizioni, ha finito per trasformare un incontro sulla riforma costituzionale in uno show con connotati intermedi tra un comizio elettorale e una prima serata dalla Bignardi, con sprazzi – visto che avanzava tempo – sul merito della legge di revisione. Tanti voli pindarici, praticamente zero approfondimenti sui contenuti. L’altra sera da Gianni Minoli aveva confessato la sua tendenza a sembrare antipatico, ma è proprio sull’”effetto-simpatia” che punta il Presidente del  Consiglio per spostare qualche voto in questa tappa nel capoluogo pontino.

“Barack Renzi”: il volano dell’endorsement da Washington. Renzi non ha potuto non iniziare il suo intervento con il riferimento alle elezioni USA e al sostegno ricevuto dal presidente uscente Barack Obama, nei confronti del quale il leader dem regala auguste parole di elogio. Un endorsement che lo ha ringalluzzito e che, secondo lui, dipinge un’immagine migliore per il nostro paese. E tenta di paragonare la missione avviata qualche anno fa da Obama con il suo “Yes we can” alla sfida del referendum di cui si fa promotore, impacchettato in Parlamento con super-canguri e sostituzioni sospette in commissione Affari Costituzionali. Un semplice accostamento forzato o vera e propria megalomania?

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Matteo Renzi durante il suo intervento

La stoccata a Bruxelles. Il premier la prende larga e passa alla questione europea. Come ciò sia legato al dibattito sulla riforma resta un mistero, ma una buona dose di para-nazionalismo per scaldare i motori e agguantare qualche applauso non guasta mai. Se la prende prima con i ricatti sulla flessibilità, con la oramai proverbiale citazione “Ce lo chiede l’Europa”. “Per anni siamo stati presentati come quelli che devono prendere appunti dalla maestrina Europa. Io sono un po’ stufo”, le parole al vetriolo. Poi con i paesi del fronte orientale europeo, che lasciano sola l’Italia nella gestione dei migranti, alzando muri. “Quando c’è da prendere i soldi italiani – continua – son tutti per l’altruismo e per la solidarietà europea. È finita l’era in cui facciamo da salvadanaio all’Europa“; l’ilare presidente del Consiglio si lascia scappare anche un “E io pago!”. E infine con Jean-Claude Juncker, reo di aver messo bocca sui conti italiani extra-bilancio per appunto i migranti e la messa in sicurezza post-terremoto. Scontro che tra l’altro si è infiammato in queste ultime ore con l’affondo arrivato dal presidente della Commissione Europea. Ci è mancato poco che il capo del Governo dicesse che la riforma migliorerebbe la prevenzione e la gestione degli eventi sismici. Sarebbe stato troppo anche per chi utilizza la questione dell’accessibilità ai farmaci oncologici come elemento a sostegno del Si.

Il revisionismo storico del costituente fiorentino. È pur sempre un comizio sulla riforma costituzionale. Così il giureconsulto di Rignano sull’Arno prova ad entrare nel merito e lo fa scomodando i padri costituenti e andando a riprendere un concetto recitato come un mantra dai discepoli del Si: “Il bicameralismo paritario è quel giochino del ping pong tra Camera e Senato che gli stessi padri costituenti non volevano. Sono stati costretti a prenderlo perché non si sono messi d’accordo”. E a supporto di tale tesi cita Meuccio Ruini, presidente della prima Commissione per la Costituzione. Ma si dimentica di riferire della famosa relazione redatta dallo stesso Ruini ed allegata al progetto di Costituzione proposto all’Assemblea Costituente,  in cui si può leggere che nel dibattito della Costituente “è stato respinto il sistema di una seconda Camera ridotta a funzioni consultive di Consiglio, o “Camera di riflessione”. Né venne accolto il sistema di ‘bicameralità imperfetta’ che vige in altri paesi, di prevalenza di una Camera, così che questa non possa determinare la caduta del Gabinetto, o almeno debba cedere nel dissenso per l’approvazione di una legge. Il progetto accoglie la piena parità di poteri dei due rami del parlamento”. Un documento che ammette, tuttavia, che la “difficoltà maggiore”  è stato trovare un accordo sul modo di composizione del Senato.

Il cavallo di battaglia della riduzione del numero dei parlamentari: “Non è demagogia”. “Quello che proponiamo è di dare una sforbiciata al numero dei parlamentari” – spiega – e al contenimento dei costi. Oh demagogia – continua sarcastico – Vergognati, sei un demagogo”, stigmatizzando le obiezioni degli oppositori al quesito referendario. “Andiamo a prendere i privilegi dei politici”, la staffilata ben piazzata. Ma si guarda bene dal parlare di cifre, di risparmi per le casse dello Stato, visto che con il taglio di poltrone a Palazzo Madama previsto nel testo di legge si risparmierebbero 48 milioni l’anno, appena l’8,8% del bilancio del Senato. Un risultato che si sarebbe ottenuto decurtando del10% lo stipendio complessivo di deputati e senatori, provvedimento attuabile con una legge ordinaria senza toccare la Costituzione. E non parla neanche dei cosiddetti rimborsi “di funzione” che spetterebbero a delegati regionali e sindaci in trasferta a Roma.  Poi c’è quel fumoso meccanismo di elezione indiretta – la cosiddetta norma transitoria – che non specifica la lunghezza delle liste in funzione di possibili surroghe, dal momento che consiglieri regionali e sindaci esercitano un mandato che potrebbe non corrispondere a quello in delega al nuovo senato a base territoriale. Dubbi ci sarebbero anche sulla ripartizione proporzionale dei seggi alle Regioni, ma i chiarimenti in merito non sono arrivati nemmeno stavolta.

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La sala stracolma

Il silenzio sull’Italicum. Materia calda di questi ultimi giorni è quella del combinato disposto con l’Italicum, la legge elettorale per la Camera in caso di superamento del bicameralismo paritario. Un proporzionale ipermaggioritario con capilista bloccati e collegi multipli. È arrivata durante la Leopolda la notizia dell’accordo trovato con la minoranza interna sul Pd – con Gianni Cuperlo che è salito definitivamente sul carro del Si dopo le minacce di dimissioni in caso di mancata revisione del testo – per un premio di governabilità (di lista o di coalizione) che superi il sistema del ballottaggio,  il quale si profilava senza un raggiungimento della soglia relativa al premio di maggioranza pari al 40%. Una partita tuttavia ancora aperta e tutt’altro che secondaria; e che Renzi liquida con un secco “L’Italicum non è nel quesito referendario”. Rifila dunque con gli elettori in sala la stessa tattica utilizzata con i frondisti della base dem: se ne riparla dopo il voto. Strategia che per adesso ha già portato i primi frutti, ovvero quello di innescare una crepa nella minoranza lungo l’asse Bersani-Cuperlo.

Continua la retromarcia sulla personalizzazione: “Sulla Riforma non c’è scritto 80 euro”. Renzi non è uno sprovveduto e sa che improntare la sfida referendaria sulla sua persona è stato un autogol che rischiava (e rischia tutt’ora) di mandare all’aria due anni di lavoro in Commissione e in aula. Ed è per questo che prosegue la sua campagna di redenzione a fronte di quel clamoroso errore, con una serie di tripli salti carpiati con avvitamento. “Ho sbagliato all’inizio a personalizzare”, ammette per l’ennesima volta. Ma poi torna alla carica: “Non è un referendum su di noi, non c’è scritto 80 euro sopra”. Forse gli deve essere arrivata una frase che Piero Calamandrei, padre costituente citato spesso dallo stesso Renzi, amava ripetere e che recita più o meno così: “Quando si scrive la Costituzione, i banchi del governo devono restare vuoti”.

I motivi per dire Si. “Nostalgia vs Speranza”. “Il superamento del bicameralismo paritario è lo strumento per permettere all’Italia di essere più agile e più forte”, le ragioni che Renzi pone a sostegno della manovra costituzionale. E su questa falsariga di una retorica avvolgente, il suo repertorio è mirabile. “La riforma costituzionale – prosegue – è l’inizio della sfida per l’Italia, non è la fine”. O ancora: “L’Italia tornerà a fare politica con la p maiuscola”. E infine: “Questa è la sfida: il passato contro il futuro, la nostalgia contro la speranza”. Ma di provare a confutare i dubbi degli indecisi (ma anche dei contrari) provando a spiegare le spigolatura di una riforma complessa ma comunque accessibile, neanche a saperne.

La maxi-sferzata al fronte nemico: “Il No spinto dall’odio”. Nel lungo discorso del n.1 di Palazzo di Chigi trova spazio anche una dura critica al fronte del No, in cui – abbandonandosi sovente all’ironia – fa valere tutte le sue doti di tagliente comunicatore. Grasse risate in sala. “Voi ce li vedete insieme Monti e Salvini a scrivere qualcosa insieme sull’Europa? Voi ce li vedete insieme Berlusconi e quelli di Magistratura Democratica? è bellissima questa cosa. Questo sarà uno dei miei grandi meriti, – ride – far riappacificare Berlusconi e Magistratura Democratica. Neanche Maria De Filippi”. Nell’annovero del premier mancano Grillo e D’Alema, ma rimedia prontamente:”Voi ce li vedete Grillo e D’Alema a discutere sul numero dei parlamentari?” Tutto questo per sottoscrivere un concetto: “Mettete in una stanza tutti quelli che dicono no. Lasciateli li comodi, dategli un po’ di vivande; secondo voi poi escono con una linea comune o sono tenuti insieme soltanto dall’odio verso di noi?” Una campagna referendaria, quella de No, che secondo Renzi è portata avanti solamente da un desiderio di riprendersi il governo del Paese. “A volte ritornano, sembra un film dell’orrore”.  E non risparmia neanche Casapound, che si è unita al coro di chi avanza istanze contro una potenziale deriva autoritaria a cui sarebbe sottoposto il Paese nel caso in cui passasse la riforma. “È bellissimo, si scoprono delle doti inedite”, sentenzia ancora una volta pervaso da un giulivo sarcasmo.

Ma Renzi vince grazie al fronte del No. Se all’interno della sala del Supercinema lo spessore del dibattito non era certamente elevato, quello all’esterno, in una Via del Corso presidiato dalle forze dell’ordine con un ingente dispiegamento di forze, non era certo da meno. Una contestazione a tratti accesa andata in scena con una connotazione, in termini di attori, alquanto curiosa. Un triangolo di protesta in cui al vertice alto si è posizionata l’USB, mentre ai vertici della base Forza Nuova e Anpi. Uno scenario degno dei paradossi di Zenone di trasmissione aristotelica.  Da una lato c’era chi inneggiava al Duce, dall’altro chi diceva che Renzi è peggio, appunto, del Duce. Ma entrambi contestano una deriva democratica. Una condivisione trasversale di un obiettivo – quello della bocciatura della riforma costituzionale il prossimo 4 dicembre – ma con chiavi di lettura diametralmente opposte dipinge uno spaccato politico che spesso palesa le sue contraddizioni e si abbandona ad un dibattito intriso di slogan e motivetti calati dai vertici dei partiti. A farne le spese, ovviamente, è una corretta informazione e una “disputa costituzionale” probabilmente non degna di tal nome. Ed è su questi solchi lasciati per strada da uno stucchevole gioco delle parti, su un rigurgito da parte della quota degli indecisi nei confronti di certe istanze filo-populistiche, che Renzi può giocare la sua partita e addirittura portare a casa una vittoria fino a qualche mese fa insperata.