“PROGETTO OBAMA” A LATINA, LUCI E OMBRE DEL NUOVO SOGNO AMERICANO

18/11/2008 di

di VALENTINA DE MATTEO 

“La strada che abbiamo davanti sarà lunga. La salita ripida. Forse non arriveremo al traguardo in un solo anno. Forse non basterà un unico mandato. Ma mai come stasera, America, sento che ce la faremo”.

Sembrava che tutto potesse succedere, quella sera del 4 novembre. Che tutto in fondo fosse già successo, dopo l’elezione del primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti d’America. La vittoria del democratico Barack Hussein Obama, salutato in modo messiniaco come moderno leader carismatico, ha stupito. Impressionato. Emozionato. Il cambiamento atteso e sperato avrebbe potuto finalmente avere quel volto afroamericano dal sorriso rassicurante che per una notte è riuscito a dare l’impressione di essere il presidente del mondo intero. Ma solo per una notte. “Quando ci accorgeremo che Obama non è il nostro presidente l’euforia per la sua elezione potrebbe svanire”. Il commento di Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, intervenuto ieri al Palazzo della Cultura di Latina in occasione del seminario “Progetto Obama”, apre la strada a considerazioni di Realpolitik americana che mal si accordano con i sogni di un repentino cambiamento globale.

Le aspettative estremamente alte concentrate attorno al personaggio Obama moltiplicherebbero per Enzo Fiore, docente di antropologia, il pericolo di una loro cocente disillusione. Il limite maggiore sarà in effetti quello di fare i conti con l’eredità del presente e i vincoli interni dettati da tutti quei contropoteri che spesso “porteranno il presidente a scegliere ciò che non vorrà”, rischiando di rendere incoerenti strategie di lungo periodo. Prima fra tutte quella economica, nel tentativo di risolvere il paradosso dell’America di essere al contempo la più potente e la più indebitata realtà del mondo. Quasi fosse vittima di un beffardo gioco della Storia, oggi i suoi maggiori creditori risultano essere proprio la Cina e i nuovi giocatori globali emergenti, consapevoli di poter tenere sotto schiaffo un impero che diventa sempre più “a credito” e sempre meno appetibile.

Un’ America, insomma, ai “minimi storici”, come ribadisce più volte Claudio Moscardelli, vicecapogruppo PD della Regione, per troppo tempo illusa di poter “derubricare la questione russa e poter creare da sola un ordine mondiale”. Ma il problema non è solo economico. E’ lo strumento militare la delusione e la sconfitta più grande dell’amministrazione Bush con cui il nuovo presidente dovrà fare i conti. Con molto meno denaro da spendere – finora le spese militari si sono aggirate intorno ai 500 miliardi di dollari – toccherà agli alleati atlantici essere ancora più presenti nelle zone di maggiore criticità. Stavolta non solo per missioni umanitarie, o presunte tali.

“L’America è ormai consapevole – continua Caracciolo – che non può più permettersi di scegliere tra il dominio e l’estraniazione”, vista la crescente interdipendenza degli Stati Uniti con il resto del mondo. O meglio, quel resto del mondo visto come pericolo o come risorsa. E visto che agli occhi degli americani l’Italia non appare né un pericolo né una risorsa, “è facile immaginare quanto il nostro Paese potrà contare”, anche alla luce della bassa percentuale del debito degli States (circa l’8%) nei confronti dell’intera Europa. L’America sogna. L’Italia pure. Ma il nostro sarà un risveglio diverso. Un inevitabile, disincantato ritorno alla realtà. Yes, we can’t.

 

  1. Meno male che ogni tanto si sente parlare qualche intellettuale serio. L’altro giorno sono andato a vedere la presentazione del libro di pennacchi: ho assistito a scene vergognose. Grassucci e Panigutti che quasi litigavano, uno che urla “fregxx!”, lo scrittore che sbotta: “Ma vaffan….!”.

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