MANOVRA: MONDO SPETTACOLO SUL PALCO, GIÙ MANI DALL’ETI

09/06/2010 di

«In nessun altro paese d’Europa al cultura è considerata un bene trascurabile. Noi siamo educati e disposti a qualche sacrificio per la crisi, ma non alle amputazioni. Auguriamoci che le nostre parole vengano ascoltate, perchè ci sono molti modi per farsi sentire». Con la voce un pò tremante, ma ferma e più che decisa nelle intenzioni, Franca Valeri sale sul palco del teatro Valle di Roma e avvisa «il gran chirurgo» che «i tumori da amputare sono ben altri» che la cultura. E la platea, piena fino al quinto ordine di galleria di artisti e spettatori di tutte le età, si alza in piedi in un entusiasta ovazione. Oggi la signora del palcoscenico è eccezionalmente capopopolo nella serata organizzata in difesa dell’Eti, l’unico organismo pubblico nazionale di promozione del teatro e della danza.

Un decreto del 31 maggio, seguito ai tagli della manovra, lo ha di fatto soppresso, lasciando in un limbo i suoi 145 lavoratori, il teatro Valle, il Duse e La Pergola che gestisce, ma soprattutto il futuro di tutti i suoi progetti nazionali e internazionali. Mentre un letto di corpi ‘mortì distesi a terra dal foyer al palcoscenico con un volantino ripetuto «cultura – omicidio di Stato», uno dopo l’altro sul palco del Valle sono saliti a protestare il direttore generale dell’Eti, Ninni Cutaia, Pamela Villoresi («oggi nella discussione in parlamento neanche sapevano cosa fosse l’Eti», dice), Luigi De Filippo, Mariano Rigillo («qui si vuole mettere le mani non solo nelle tasche ma anche nelle teste degli italiani»), Maurizio Scaparro («rischiamo una repubblica fondata sul mercato e non più sul lavoro») e molti che qui hanno debuttato come Sergio Castellitto e Geppy Gleijese, che lo scorso anno dall’Eti ha rilevato il teatro Quirino. Perchè si vuole chiudere l’Eti? Perchè si vuole dare ancora non si sa a chi un teatro come il Valle che è il primo in Italia per spettatori paganti? Risponde Roberto Andò: «quello che rischia di restare di questo paese è la cartaccia – denuncia il regista – in questo momento il simbolo dell’Italia sembra essere la monnezza e su questa qualcuno vorrebbe costruire un progetto».

Sul palco sono saliti anche gli assessori Giulia Rodano e il senatore del Pd Vincenzo Vita («non ci importa di mettere una targhetta a questa battaglia. Basta che questo decreto venga annullato», dice), oltre a Silvano Conti della Cgil che provocatoriamente dichiara: «io dei lavoratori non mi preoccupo perchè in una situazione di rottamazione una soluzione si trova. Il problema è che qui viene attaccato e destrutturato il sistema cultura, mentre nel resto d’Europa e anche negli Stati Uniti è sull’istruzione, sull’innovazione e sulla cultura che si investe per uscire dalla crisi». Ad applaudire in platea, tra gli altri, Alessandro Haber, Giuliana Lojodice, Massimo Ghini, Luca De Fusco, Alba Rohrwacher, Anita Bartolucci, Anna Mazzamauro. Dalla galleria intanto un cartello recita: «dopo 300 anni il Valle chiude. Tremonti, sai chi c’è stato qui? Pirandello, De Filippo, Gassman, Tognazzi, Peter Brook, Totò, Manfredi…».