Accoltellò l’ex in tribunale, condannata a sei mesi
«Lasciatelo qua da solo che lo voglio ammazzare» e tirò un fendente contro l’ex convivente con un lungo cacciavite nascosto in borsa. Teatro dell’aggressione fu un’aula di tribunale. Si è concluso con una condanna a sei mesi di carcere per tentate lesioni personali il processo d’appello nei confronti di Graziella Di Costanzo, 55enne di Marino; i giudici hanno rideterminato l’iniziale pena a 4 anni e 10 mesi, inflitti per tentato omicidio dal tribunale di Velletri.
Era il 13 luglio 2010 quando la Polizia penitenziaria di Campobasso accompagnò in tribunale Giovanni Loglisci, ex convivente della Di Costanzo, sotto processo per il tentato omicidio del fratello della donna, colpito con 37 coltellate per futili motivi. Graziella Di Costanzo si alzò dai banchi destinati al pubblico e, avventandosi contro l’uomo, tentò di colpirlo all’addome con un cacciavite. L’immediata reazione della scorta consentì di evitare il colpo; un agente rimase ferito leggermente al polso. Arrestata in flagranza, la donna disse di «essere estenuata» per la difficile situazione familiare. Quando vide entrare in tribunale l’ex convivente, non capì «più niente» e tentò di colpirlo, senza alcun’intenzione di ucciderlo, ma solo per «fargli sentire cosa vuol dire sentire un dolore fisico». In primo grado, il tribunale, ritenendo provata l’accusa di tentato omicidio, condannò la donna a 4 anni e 10 mesi di reclusione.
La sentenza è stata appellata dal difensore della donna, secondo il quale, tra l’altro, il gesto della donna era stato «un gesto sconsiderato e disperato» senza alcun effettivo intento omicidiario. I giudici d’appello hanno ridotto la pena, ritenendo non raggiunta la prova della volontà omicida, ma ravvisando invece il delitto di tentate lesioni personali aggravate. «I giudici d’appello hanno ricondotto i fatti nella loro ricostruzione autentica – ha commentato l’avvocato Rocco Marsiglia, difensore della donna – L’impressione è che in primo grado la condanna fosse stata emessa non valutando i fatti come si erano verificati, bensì ritenendo ci fosse stata una sorta di ‘violazione del Tempiò da punire in maniera dura».