Guerriglia a Roma, torna l’incubo del G8 di Genova

15/10/2011 di
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L’unica buona notizia è che non c’è scappato il morto, come, invece, era accaduto a Genova. Perché la guerriglia di Roma ha ricordato in tutto e per tutto l’incubo del G8 del 2001: una violenza cieca e cattiva, centomila manifestanti e migliaia di romani ostaggio di 500 incappucciati che hanno fatto di tutto, nonostante le cariche pesantissime da parte delle forze dell’ordine.

Alla fine il bilancio è stato di 70 feriti tra poliziotti e manifestanti (3 gravi), 12 arrestati e due quartieri della capitale devastati. Così, quella che doveva essere la giornata degli Indignati, il movimento nato a Madrid per dire basta a banche e speculatori che stanno divorando vite e famiglie, si è trasformata in una battaglia di cinque ore tra black bloc e forze dell’ordine per le strade di Roma. E quello che doveva essere un movimento nuovo è stato spazzato via sul nascere.

La rabbia dei manifestanti pacifici che hanno provato a fermare la violenza cieca, senza riuscirci, ne è stata la triste conferma. «Abbiamo assistito ad atti di inaccettabile violenza ad opera di criminali infiltrati tra i manifestanti», ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni condannando «con fermezza» le scene di guerriglia trasmesse in tutto il mondo. Una violenza che in molti, negli apparati di sicurezza, non si aspettavano.

«Eravamo in piazza per garantire la libera espressione di un democratico dissenso e ci siamo trovati a fronteggiare gruppi di teppisti criminali» si è limitato a sottolineare il capo della polizia Antonio Manganelli. L’analisi di quanto accaduto si farà nei prossimi giorni. Ma quello che è già abbondantemente chiaro è che, ancora una volta, chi era venuto a Roma soltanto per distruggere è riuscito nel suo intento. La scelta delle forze dell’ordine è stata chiara: blindare il centro di Roma per impedire che i manifestanti raggiungessero le sedi istituzionali e lasciare che il corteo sfilasse per il percorso autorizzato. Ma quando è stato evidente che la tattica dei black bloc era quella di colpire e poi nascondersi tra i manifestanti pacifici togliendosi caschi e sciarpe, così come a Genova, era troppo tardi per intervenire.

Eppure la giornata era iniziata nel migliore dei modi: migliaia e migliaia di manifestanti che alle due avevano già riempito via Cavour, piazza della Repubblica, piazza dei Cinquecento e viale Castro Pretorio: una fiumana di gente, colorata e allegra. «People of Europe: rise up!» (ribellati!) era il grande striscione che ha aperto il corteo. E poi migliaia di bandiere di tutti i partiti della sinistra, Pd escluso, dei Cobas e delle Usb, dell’Arci. I centri sociali con la musica a tutto volume e l’urlo «noi la crisi non la paghiamo». A metà di via Cavour, però, l’atmosfera è cambiata: ai cori contro Berlusconi e contro le banche è subentrato il silenzio. E sono comparsi i primi cappucci, bastoni, chiavi inglesi, martelli. Tre auto sono state date alle fiamme, un supermercato saccheggiato, una pompa di benzina distrutta, le bandiere italiane e della Ue esposte sul tetto di un hotel bruciate. La polizia non è intervenuta: una carica in quel momento, con il corteo così compatto, avrebbe potuto avere conseguenze molto gravi. È in questo primo blitz che, però, è rimasto seriamente ferito un militante di Sinistra Ecologia e Libertà, di 52 anni. L’uomo, con altri manifestanti, ha tentato di fermare i black block: nè è nata una rissa, con i neri che hanno tirato un paio di bombe carta. Lo scoppio di una di queste ha ferito l’uomo alla mano, spappolandogli due dita. Quello di via Cavour è stato il segnale per gli incappucciati, che non hanno neanche provato a svoltare verso piazza Venezia e i palazzi del potere: di lì a poco, in via Labicana, hanno scatenato l’inferno. Prima hanno eretto un paio di barricate con i cassonetti, poi hanno dato fuoco e infine hanno bruciato un ex deposito militare, un edificio di due piani che è andato completamente distrutto. I ‘nerì hanno così avuto campo libero e solo un gruppo di manifestanti ha tentato di fermarli. «Andate via, andate via, non vogliamo la vostra violenza». Ancora botte, ancora violenza. Arrivati in piazza San Giovanni, l’unico posto dove le forze dell’ordine sono potute intervenire in maniera massiccia senza il rischio di travolgere decine di manifestanti pacifici, la guerriglia è andata avanti un’ora e mezza. Violentissima. Con lancio di pietre, bastoni, bottiglie incendiarie, pali della segnaletica stradale: tutte le strade attorno a San Giovanni sono state devastate, via Emanuele Filiberto, via Merulana, piazza del Vicariato, piazzale Appio erano ridotte a sera ad un campo di battaglia. Assaltata anche la parrocchia di San Marcellino Pietro, dove sono stati distrutti degli arredi sacri.

La tragedia si è sfiorata poco dopo le 18 e in molti hanno rivisto la scena di dieci anni fa, in piazza Alimonda, a Genova, in cui fu ucciso Carlo Giuliani. Centinaia di manifestanti hanno assaltato tre blindati dei carabinieri che cercavano di ricacciarli indietro. Uno di questi mezzi è rimasto bloccato ed è stato subito accerchiato da decine di incappucciati inferociti, che lo hanno bruciato. I due carabinieri che erano a bordo sono riusciti a fuggire mentre i neri si accanivano contro il mezzo: «Acab (All cops are bastard – tutti i poliziotti sono bastardi) – Carlo vive» la scritta che hanno lasciato sulle fiancate. A fare le spese di tanta violenza non solo i poliziotti, uno dei quali ferito in modo grave, ma anche centinaia di romani che si sono visti bruciare auto e moto, devastare negozi. E in molti sono stati costretti ad abbandonare le abitazioni invase dal fumo nero proveniente dalla strada. Dopo 5 ore le forze di polizia sono riuscite a disperdere il blocco nero: ma migliaia di manifestanti e l’intera città di Roma hanno pagato un prezzo davvero troppo alto, come ha sottolineato il sindaco della Capitale Gianni Alemanno.

Si temeva un nuovo 14 dicembre, è stato peggio. E, su tutto, l’incubo del G8 di Genova, come in un assurdo anniversario delle violenze di 10 anni fa. Roma per un pomeriggio ostaggio di teppisti pronti a tutto pur di portare devastazione: blitz violenti consumati in un crescendo, dalle vetrine rotte e i negozi saccheggiati, fino alla battaglia in una Piazza San Giovanni avvolta da colonne di fumo che hanno oscurato perfino il ricordo delle violenze esplose durante il corteo degli studenti alla fine del 2010, in concomitanza con un voto di fiducia al governo in Parlamento. Allora via del Corso e il cuore della Capitale furono messi a ferro e fuoco. Oggi è toccato a piazza San Giovanni, luogo simbolo di manifestazioni democratiche, che, per almeno tre ore, è stata preda della rabbia nera dei Black Bloc. Alla fine il bilancio è stato di venti persone fermate dalla Digos e, di queste, dodici sono in stato di arresto. Tra loro giovani di Bari, Trento, Catania, Siracusa, Brindisi e Napoli. Sequestrati anche venti molotov e bastoni. Il dispositivo di sicurezza deciso dalla Questura ha blindato i palazzi istituzionali – minacciati a dicembre scorso – e il centro storico, Fori e Colosseo compresi, ma non ha potuto impedire che i teppisti portassero la loro guerra fino a piazza San Giovanni, dove il corteo doveva concludersi. La loro è stata una vera escalation di violenza iniziata con blitz a via Cavour a suon di mazze per sfondare vetrine e petardi per incendiare banche, si è snodata lungo via Labicana, dove è stato dato alle fiamme un ex deposito militare con annessa un’abitazione privata, è arrivata a viale Manzoni e penetrata fino a Piazza San Giovanni. Nell’incendio – ha riferito il ministro della Difesa Ignazio La Russa – un generale in pensione ha rischiato di morire bruciato vivo e si è salvato solo perchè dei vicini lo hanno aiutato a fuggire, insieme alla moglie, con una scala dalla finestra. Fatti avvenuti nonostante le violentissime cariche, gli idranti per spazzare le resistenze, i blindati per distruggere le tante barricate fatte con qualunque arredo urbano: cassonetti, pali stradali, fioriere. Il tutto costellato di auto incendiate, meglio se lussuose, meglio se Suv. Violenza portata fin dentro le chiese, come quella di san Marcellino e Pietro profanata con una statua della Madonna frantumata, e che si è scagliata contro chi ha tentato di ostacolarla, come un manifestante di Sinistra e Libertà e un cittadino, entrambi rimasti feriti. Poi, una volta arrivati a San Giovanni è stata guerriglia, studiata e giocata anche sui nervi, con blitz e barricate, pali stradali usati come arieti e fionde. E tantissima violenza consumata tra i veri manifestanti terrorizzati, alla fine cacciati dalla piazza. Il fuoco e il fumo vicino alla Basilica del Laterano non si vedevano dagli attentati mafiosi del 1993. La battaglia del 15 ottobre ha avuto a lungo il suo epicentro nei giardini di fronte al sagrato di una delle basiliche più importanti della cristianità. Centinaia di giovani a volto coperto, molti vestiti di nero e con il casco in testa, hanno attaccato a ondate i contingenti di polizia, carabinieri e finanzieri confluiti sul posto. Hanno attaccato anche i blindati, senza paura. Hanno incendiato un mezzo dei carabinieri assaltandolo quasi a mani nude e costringendo i due militari a bordo a scappare per non finire bruciati. Dietro di sè avevano lasciato una scia di distruzione su via Labicana, viale Manzoni e via Emanuele Filiberto. In quest’ultima, che porta a piazza San Giovanni, il manto stradale in certi punti appariva sventrato per fare dei sampietrini-proiettili. Dietro le vetrate dell’albergo President i turisti guardavano fuori sgomenti. Sul vetro i teppisti avevano scritto ‘Kill the President’. Altri cittadini, sconvolti, si erano rifugiati in un portone. Una battaglia durata oltre cinque ore. Una battaglia di posizione con i teppisti pronti ad attaccare ad ogni carica, sempre più determinati e violenti. E i pochi manifestanti rimasti, arroccati sotto la basilica dopo avere tentato di fermare a parole i Black Bloc, urlando ‘Vergognà e applaudendo gli idranti in azione. In tarda serata le forze dell’ordine hanno la meglio. I teppisti si disperdono a via Merulana dopo barricate, roghi, un ponteggio in fiamme. La piazza è liberata. A terra restano vetri, sampietrini, bottiglie. A terra resta l’intenzione di una manifestazione pacifica e per un futuro migliore.