Miracolo profano, trans in piazza per la beatificazione di Wojtyla

01/05/2011 di

«Lui mi ha fatto sentire parte di un tutto, mi ha fatto sentire dignitosa nonostante tutto, mi ha fatto capire che anche io ero figlia di Dio». Rachel non è una pellegrina venuta da lontano, non è una dei Papa-boys, non frequenta chiese e preghiere. Ma anche lei, trans colombiano che lavora la notte a Roma, è un piccolo miracolo di questa giornata per Wojtyla Beato. Su un viale del’Aventino con i suoi capelli alla Marylin, il rossetto rosso e il trucco di scena seduta su uno sgabello mostra la sua scollatura. E confida la sua storia comune. «Sono in Italia da 15 anni, per noi trans trovare un lavoro è impossibile, siamo come lebbrosi, nessuno ci vuole. Mi sono sempre sentita emarginata, poi una volta ho sentito Wojtyla, la messa in tv, mi ha aperto il cuore. Ho capito che anche io ero un essere umano».

Rachel è sempre andata la domenica all’Angelus quando «c’era Giovanni Paolo II, e lì mi sentivo sorella di tutti». A Piazza San Pietro dice «andrò anche per la sua beatificazione: finito qui vado, non posso mancare». Lasciati a casa gli abiti succinti, tolto il trucco pesante e fatta una doccia per lavare via «lo sporco, e non solo quello fisico», Rachel si vestirà come «una donna qualunque» e pregherà il Papa che più ha amato. «Sono cresciuta con lui – racconta sorridendo – Arrivata a Roma ero sola, il marciapiede l’unica possibilità. La domenica ero solita andare all’Angelus a Piazza San Pietro, pur avendo lavorato tutta la notte. Mi piaceva il modo dolce di Wojtyla di rivolgersi alle persone. Mi ha sempre colpito quando parlava d’amore. Mi ha fatto capire che anch’io ero parte di un tutto, anche io ero figlia di Dio. Insomma dopo tutto lo schifo che dovevo sopportare andare a sentirlo ero la mia purificazione, mi dava forza e coraggio». Rachel parla e le sue mani rivestite di bracciali appariscenti danzano nel cielo nero di Roma. Le piace gesticolare e scopre la sua pelle a ogni clacson. Un riflesso condizionato più che un gesto ammiccante e studiato. «Ho bisogno di lavorare – aggiunge senza mai smettere di sorridere – e questo finora è l’unico modo che mi ha garantito di vivere in questa città. Per noi trans la vita è più difficile, nessuno ci vuole: siamo emarginati due volte. Ci cercano solo per il peccato». Il peccato, già. Un concetto che Rachele conosce bene. «Lo so che per la Chiesa, quella ufficiale, io sono da scaraventare all’inferno. Lo so che quello che faccio la notte è brutto. Io non sono quella però, io sono quella che si è ritrovata nella dolcezza delle parole di un Papa Santo – dice abbassando il tono di voce quasi a non voler pronunciare parole sacre in un contesto diverso – Cristo ha perdonato Maddalena e lei si è pentita. Questo Papa per me è stato il mio Cristo, l’ho ascoltato e dentro sono diventata un’altra. E dentro forse solo lui mi ha capita».