Ibi Lorenzini, la farmaceutica (rosa) che esplode nell’export dei farmaci

19/09/2014 di
ibi-aprilia

ibi-apriliaUn fatturato in crescita del 36% negli ultimi 6 anni e un boom dell’export pari al +54%. In linea con quello generale del settore farmaceutico, che ha fatto segnare un +2% nei primi 6 mesi del 2014. Sono i risultati ottenuti da
un’azienda tutta italiana.

Non una Big Pharma, ma una realtà comunque potente (36 milioni di flaconcini prodotti ogni anno) e dalla lunga tradizione familiare, con base ad Aprilia, in provincia di Latina.

E una guida al femminile da decenni. «A partire dal 1940, alla morte del suo fondatore Giovanni Lorenzini, l’azienda è passata sotto la direzione della figlia Loredana Lorenzini, mia nonna», racconta all’Adnkronos Salute Camilla Borghese Khevenhüller, oggi presidente e amministratore delegato dell’Istituto biochimico italiano (Ibi) Giovanni Lorenzini.

Un’impresa «con una vocazione all’esportazione fin dalla sua nascita, nel 1918 – racconta la numero uno dell’Ibi – e che su questa vocazione ha costruito negli anni una forte capacità di sviluppo e di produzione, rafforzando di anno in anno il nostro core business, quello delle penicilline iniettabili. Dalla materia prima al prodotto finito, esportiamo in Europa, dove forniamo direttamente gli ospedali, e in altri Paesi del mondo dove abbiamo diversi partner commerciali.  Sono prodotti che hanno perso la protezione brevettuale, ma ancora oggi spesso rappresentano l’unico approccio terapeutico con antibiotici classici: è difficile trovare un farmaco alternativo efficace, che abbia lo stesso prezzo, ormai basso».

«Nonostante questo – precisa – siamo riusciti a incrementare il nostro fatturato negli ultimi 6 anni del 36%, crescendo di anno in anno. Ma per farlo abbiamo dovuto continuamente investire in processi, in organizzazione, aumentare la nostra produzione per compensare il decremento del prezzo. Garantendo la qualità che il ‘made in Italy’ e la nostra azienda rappresentano in tutto il mondo». L’impresa laziale ha anche recentemente aperto le porte all’università, «per fornire il nostro know-how di produzione industriale, regolatorio e di qualità a progetti di spinf-off».

L’azienda oggi riserva alle esportazioni il 75% della propria produzione: «Il mercato interno – evidenzia Borghese Khevenhüller – è troppo piccolo e non si può negare che esistano concrete difficoltà nel riscuotere i pagamenti: in Germania veniamo saldati in 15 giorni, in Italia si arriva anche a pagamenti a un anno. Vendiamo dei prodotti iniettabili che vanno soprattutto agli ospedali e in questo momento in Italia abbiamo un budget che ci ‘stringè abbastanza».

La conduzione “rosa” dell’azienda è scritta nel Dna della Ibi Lorenzini, ma l’Ad non vuol sentire parlare di  differenze con la gestione maschile: «L’attaccamento all’azienda è uguale», assicura. «Bisogna piuttosto puntare sul concetto di squadra dirigente, per avere molteplicità di visioni e una capacità globale di interagire tra le diverse conoscenze».

Infine, la visione del futuro: «Ci vuole stabilità, dobbiamo avere la certezza che le regole non cambino nel corso di un progetto di sviluppo, che richiede tantissimi anni fra verifiche e autorizzazioni. Negli ultimissimi anni, comunque, non abbiamo avuto tagli così ingenti come negli anni passati. Ci auguriamo che si continui così, anche perché fra le voci della spesa sanitaria non c’è solo la farmaceutica», conclude.