PAZIENTE MORTO, TRE MEDICI INDAGATI

05/08/2007 di
 Il
suo calvario è durato circa due mesi. E’ morto dopo una terribile
agonia all’ospedale “Santa Maria Goretti” e adesso per i consulenti i
medici che lo curarono ebbero «un comportamento censurabile sotto il
profilo dell’imperizia per non aver pensato, alla luce del quadro
clinico presentato dal paziente, alla complicanza performativa
duodenale che ha condotto a morte il paziente e per non aver fatto
ricerche adatte a diagnosticarla».


La vicenda è quella di Adriano
Spagni, l’uomo di 67 anni morto il 13 febbraio. Era entrato in ospedale
la prima volta il 22 dicembre, era stato “sballottato” tra Latina e
Priverno prima di tornare al “Goretti” quando ormai non c’era più nulla
da fare. La vicenda, a seguito di un esposto in Procura dei familiari,
assistiti dall’avvocato Renato Archidiacono, è al centro di un’indagine
per omicidio colposo che coinvolge i tre medici che nel corso del tempo
hanno avuto in cura Spagni. Il decesso è stato causato, di fatto, dalla
perforazione dello stomaco a seguito di un’endoscopia. Sotto accusa ci
sono in particolare i medici dell’ospedale “Regina Elena” di Priverno,
il comportamento dei quali secondo i consulenti nominati dalla famiglia
«è censurabile, infatti il paziente già dall’11 gennaio iniziava a
manifestare febbre alta».
 
Di fronte alla terapia antibiotica che non
dava alcun giovamento «l’unico esame di diagnostica per immagini
eseguito era un rx torace». Se ne deduce, secondo la perizia depositata
in Procura, che «i sanitari nonostante il paziente è andato peggiorando
progressivamente dalla comparsa della febbre non hanno mai richiesto
esami strumentali che tendessero a chiarire meglio il perché del
peggioramento progressivo delle condizioni del paziente e stabilire una
diagnosi e una terapia adeguata come avrebbe potuto essere». Insomma,
nei chirurghi data la situazione doveva almeno «insorgere il sospetto
di una perforazione duodenale».
 
Quando ci si è resi conto della gravità
della cosa era ormai troppo tardi, per Spagni non c’era più nulla da
fare. Difficile dire se, dato il quadro clinico, poteva essere salvato.
Di certo ci sono stati comportamenti di fronte ai quali i familiari
chiedono di avere almeno delle spiegazioni.
(Il Messaggero, 05-08-2007)