‘NDRANGHETA NEL LAZIO, 14 ARRESTI: 2 PONTINI

21/07/2010 di

Erano riusciti ad esportare la ‘ndrangheta nel Lazio, in particolare ad Anzio e Nettuno, con attività che andavano dal traffico di armi e droga all’usura. Sono questi alcuni dei reati contestati ai 14 arrestati nelle province di Roma, Catanzaro, Arezzo e Torino, tutti appartenenti alla cosca del clan ‘ndranghestista dei Gallace, orginari di Guardavalle, in provincia di Catanzaro.

La cosca era riuscita perfino ad ottenere un suo infiltrato nella Procura di Roma, dove il segretario di un pm, fratello di uno degli arrestati, informava gli indagati. Il duro colpo ai Gallace è arrivato dopo un’indagine dei Ros denominata ‘Paredrà. Dei 14 arrestati, di cui tre ai domiciliari, alcuni sono originari di città del Lazio, come Roma, Latina, Anzio, Nettuno, Velletri o Aprilia. Gli altri di Guardavalle o Catanzaro.

La cosca era riuscita a infiltrarsi nella regione attraverso il supporto della famiglia Andreacchio, originaria di Guardavalle, nel catanzarese, ma da tempo insediata a Nettuno. In particolare, Alessandro Andreacchio era il responsabile, per conto dei Gallace, di una sorta di monopolio del traffico di droga nella zona di Anzio e Nettuno, servendosi di una fitta rete di spacciatori, anche autori di numerosi furti in abitazioni nel basso pontino. Altro settore controllato dal capoclan Bruno Gallace era quello dell’usura, con l’imposizione di tassi di interesse al 20% mensile.

Tra le vittime, anche alcuni commercianti della Capitale. Gli indagati favorivano anche la latitanza in Spagna di Annunziata Abbondanza, ricercata dal 2006 per traffico internazionale di droga, poi arrestata al suo rientro in Italia nel 2008. Le indagini hanno anche portato al sequestro di tre società, per un valore di un milione di euro, nelle province di Catanzaro, Torino e Arezzo, operanti nel settore edile e riconducibili a Vincenzo Gallace, boss della cosca, già detenuto a Vigevano da pochi giorni per un’altra operazione contro la ‘ndrangheta. Ma gli indagati del clan sapevano di essere braccati dai Ros. A informarli era una loro talpa: un addetto alla segreteria di un pm della Procura di Roma. Gli investigatori hanno riferito che l’infiltrato, fratello di uno degli usurai calabresi arrestati, avvertiva alcune persone informandole di essere indagate. Per questo un anno e mezzo fa l’uomo, che si inseriva nel sistema informatico, era stato sollevato dal suo incarico e processato per indebita intrusione. Durante le indagini, infatti, gli investigatori avevano notato un atteggiamento guardingo degli indagati e nel corso di un’intercettazione ambientale in auto uno di loro aveva detto: «Sta indagando il Ros, ma ci pensano i locali». «La cosca era particolarmente pericolosa – ha detto il el procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, capo della procura distrettuale antimafia – perchè oltre ad essere dedita ad attività tipiche criminali, si stava infiltrando anche in attività economiche sane». La «mutazione genetica» era avvenuta nei primi anni del 2000, quando il clan cominciava a puntare al suo inserimento nell’economia legale.