Sangue infetto, ha l’epatite C ma dona per ben 16 anni

22/02/2013 di
sangue infetto

Nel 1984  si sottopone a due trasfusioni di sangue presso l’ospedale “Santa Maria Goretti” di Latina; nel 2006 scopre di aver contratto  l’epatite C. Ora si viene a sapere che una delle sue donatrici non solo era infetta, ma anche che per i 16 anni successivi, dal 1984 al 2000, ha continuato a donare il sangue.

Vittima della vicenda di malasanità è una 50enne di Pontinia. Dopo aver scoperto di essere affetta da epatite C la donna si è rivolta all’avvocato Renato Mattarelli per verificare la possibilità di un risarcimento da sangue infetto. Fin qui nulla di nuovo, direte, visto che i casi di sangue infetto in provincia di Latina sono numerosissimi. Il colpo di scena arriva però nei giorni scorsi, durante il dibattimento al Tribunale di Roma, dalla relazione del consulente medico nominato; documento che non solo conferma la certezza del nesso di causalità tra le trasfusioni del 1984 e la gravissima infezione epatica, ma che dimostra che una delle due donatrici era infetta.

“Dalla relazione dell’Asl di Latina – spiega in una nota l’avvocato Mattarelli, che da due anni si occupa del caso – si evince che una delle donatrici della donna di Pontinia non solo era infetta ma anche che anche per i 16 anni successivi ha continuato a donare il sangue fino a quando è stata, si legge testulamente, ‘definitivamente sospesa dalla donazione’. E’ chiaro che l’esito della causa è segnato dal successo di un maxi risarcimento, ma resta il problema delle persone che hanno continuato a ricevere il sangue infetto. La domanda è: come è possibile che dopo il 1984 nessuno ha mai sospeso la donatrice con l’HCV visto che già da allora era possibile rilevare nel suo sangue segni e valori epatici oltre la norma? Il rischio, anzi la certezza (visto che una donazione infetta da HCV – epatite C ha probabilità di contagio pari al 100%), è che per almeno 16 anni le donazioni della donatrice abbiano infettato decine di persone. Molte delle quali ancora non lo sanno, visto che l’epatite C è una malattia silente e cioè si può manifestare anche a distanza di decenni”.

  1. Più che altro mi chiedo: ma il sangue di quella donna che per 16 lo ha donato, forse senza sapere lei stessa di essere infetta, nessuno lo ha controllato??? E’ una notizia agghiacciante, davvero si deve pregare di non stare male…

  2. ma l’AVIS c’entra qualcosa?
    Ma non sarebbe meglio obbligare i donatori a fare le analisi prima del prelievo?
    Chi dovrebbe analizzare il sangue prelevato prima della commercializzazione?
    Oppure anche in questo caso i soldi accecano la coscienza di chi è preposto al controllo?

  3. Vediamo di commentare con consapevolezza di quello che si scrive, diversamente è meglio tacere. Nell’84 lo screaning dell’epatite C era non ancora ottimizzato, chi veniva trasfuso è stato poi sottoposto a verifica e da qui eventualmente il caso in questione come magari altri.
    Per quanto riguarda ATTUALMENTE l’argomento donazione, ogni donatore è sottoposto a visite preventive, per poter poi donare, sia che si parli di sangue intero che di donazione in aferesi. Durante l’anno inoltre, i donatori possono effettuare presso la sede Avis anche esami come l’elettrocardiogramma o per gli uomini con 40 anni compiuti, il PSA (una provetta in più tra quelle che vengono prelevate per effettuare le analisi consuete sul sangue prelevato). A seguito della donazione, sulla sacca vengono effettuate analisi di routine più la batteria dello studio virale (HIV, Epatite A B e C, Sifilide etc.) e gli esami vengono inviati al donatore nonchè verificati dal laboratorio analisi, dal centro trasfusionale e poi ancora dal medico Avis. Mi sembra ovvio che un donatore dove si rintracci infezione virale, viene immediatamente sospeso e la sua sacca inutilizzata.
    Donare sangue è una scelta solidale, vuol dire salvare la vita di chi ne ha bisogno e non dobbiamo ricordarci di donare solo quando serve ad un parente. Occorrono 10 sacche di sangue a letto ospedaliero in un anno, per ferito in un incidente da 2 a 10 sacche, per protesi all’anca 5 sacche, per un intervento di cardiochirurgia 12 sacche, per un trapianto di rene 4 sacche, per un trapianto di midollo osseo da 50 a 80 sacche in 5 – 6 mesi, per un trapianto di fegato da 100 a 170 sacche di sangue e da 200 a 300 sacche di plasma.
    La medicina e la ricerca sono andate avanti, questi che emergono oggi sono casi di almeno 30 anni fa quando le indagini di laboratorio non erano certamente le stesse di oggi, ma in questi anni molteplici vite sono comunque state salvate dai donatori che hanno dato tutto il loro meglio, per la vita altrui, e continuano a farlo anche per chi ne fa a meno.
    Ad ogni modo, l’Avis non è l’unica Associazione ad occuparsi della raccolta del sangue sul territorio, si dona in Ospedale, o con Associazioni quali la Croce Rossa o Fratres. Io vi scrivo nel mio caso da Avisina, ed assolutamente non ho dubbi sul processo che riguarda la donazione e la conseguente lavorazione e destinazione del sangue.
    Pensate a donare, invece di correr dietro a casi sporadici che possono capitare (..non oggi!) ma che non devono diventare un caso di stato se si valuta il bisogno di sangue che c’è nel nostro territorio e non solo.

  4. @ Simona, grazie per le informazioni, quindi stai dicendo che ci sono delle “bombe virali” innescate in persone trasfuse decenni fa pronte ad esplodere da un giorno all’altro, ma non solo, che i presunti infettati hanno a loro volta in determinate circostanze incosapevolmente infettato altri.

    Bell’Italia ?

  5. @ Simona, la mia domanda era in ambito epidemiologico, ripeto:

    1- se il virus rimane latente nell’organismo dell’ignaro trasfuso per 10 20 30 anni prima di manifestarsi potrebbe in quel lasso di tempo aver contagiato altri, eventualmente in che percentuale, esiste una casistica?

    2- è stata eseguita un indagine conoscitiva di quanti trasfusi ignari potrebbero aver contratto il virus prima delle attuali normative ed esami precauzionali?

    Penso d’essere stato chiaro, gradirei una risposta altrettanto chiara.
    Grazie!

  6. Scusate ma nell’articolo si dice che questa donna ha continuato a donare il sangue fino al 2000: e nel 2000 il virus dell’epatite C era conosciuto, così come nel 1999, 1998, 1997…. Mi sembra veramente strano (e, nel caso fosse vero, scandaloso) che a questa donna non siano stati fatti i dovuti controlli.

  7. esattamente Vale! Diamo per certo che la donna infetta non sapesse di esserlo, negli anni successivi al 1984 come sostiene Simona, perchè nessuno ha sottoposto o preteso dalla donna le analisi previste dalle nuove procedure?

  8. Simona non so perche lei faccia queste affermazioni errate e fuorvianti ma di certo non riesce a rispondere ad una banale domanda fattale che fa cadere il suo arzigogolato quanto inutile arguire. Risulta comunque evidente che lei è intenzionata a difendere l’opertato dell’Avis, ma non vi riesce. In ogni caso la responsabilità primaria (ma non unica) è dell’Ospedale S.M. Goretti di Latina che effettua le analisi con tanto di firma del medico primario responsabile. Chi vi è dentro come me sa bene che potrebbe capitare anche peggio per come vanno le cose e per l’enorme “business” che vi è dietro e che coinvolge, con differenti aspetti, molte pseudo associazioni che da anni non svolgono il loro operato come dovrebbe e sono sempre più orientate verso se stesse e i “bisogni della politica”, un vero tradimento dei padri fondatori. Ma tant’è oramai in tutta Italia è cosi, ognuno pensa solo a ricavarne qualcosa per il proprio orticello….

  9. io sono donatore da almeno 6 anni, e a ogni donazione che ho fatto, insieme alle analisi arrivavano anche i risultati infettivologici. Trovo strano che dall’84 al 2000 sulla donna infetta non sia mai stato fatta un analisi (e il periodo finestra dell’epatite c al massimo è di 1-2 anni).
    La notizia mi sa di bufala o comunque c’è qualcosa di impreciso