DAL BRASILE OK ALL’ESTRADIZIONE DI CESARE BATTISTI

18/11/2009 di

Il Tribunale supremo federale brasiliano ha votato, con 5 voti favorevoli e quattro contrari, in favore dell’estradizione in Italia dell’ex terrorista dei Pac, Cesare Battisti, originario di Sermoneta, condannato in contumacia in Italia all’ergastolo per quattro diversi omicidi. I giudici hanno stabilito che i reati per cui Battisti è stato condannato non sono di natura politica e che quindi non sia legittima la concessione dello status di rifugiato politico che lo scorso gennaio il ministro della giustizia Tarso Genro assicurò a Battisti.

Determinante, il voto favorevole del Presidente del Tribunale, Gilmar Mendes. «Ho votato in favore dell’estradizione. Nessuno può attribuire a questi crimini di sangue commessi in forma premeditata il medesimo carattere di un reato politico», ha dichiarato Mendes, prima di sospendere la sessione per un breve intervallo.  La decisione del tribunale non comporta automaticamente l’estradizione di Battisti in Italia. Dopo l’intervallo, i giudici decideranno se l’ultima parola in merito alla concessione dello status di rifugiato politico spetti al potere giudiziario (e quindi al Tribunale supremo federale) oppure al potere esecutivo, quindi al Presidente Luiz Inacio Lula da Silva.

La lunga fuga dell’ex terrorista di Sermoneta. Dura da 28 anni la fuga di Cesare Battisti, l’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo su cui oggi è chiamata a pronunciarsi il Supremo tribunale federale brasiliano, che deciderà se dare il via libera alla sua estradizione in Italia.  Una fuga iniziata a Frosinone, nel 1981, quando Battisti evade dal carcere dove è stato rinchiuso con l’accusa di aver commesso 4 omicidi nel corso della sua attività di terrorista. Battisti si rifugia in Francia, poi si trasferisce con la moglie in Messico, dove inizia una nuova attività: scrittore di romanzi noir. Durante la sua latitanza in Messico i giudici italiani lo condannano in contumacia all’ergastolo, per aver assassinato, tra il 1978 e il 1979, il maresciallo della polizia penitenziaria Andrea Santoro, i commercianti Pierluigi Torregiani e Lino Sabbadin e l’agente della Digos milanese Andrea Campagna. La sentenza è poi confermata nel 1993 dalla Corte d’appello.  Intanto, già dal 1990, l’ormai affermato romanziere Battisti è tornato in Francia, dove, complice lo scudo della ‘dottrina Mitterand’, è a riparo dall’estradizione. Ma nel 2004, viene arrestato a Parigi in seguito ad una nuova richiesta da parte di un tribunale italiano. Un mese dopo l’ex leader dei Pac viene rimesso in libertà, ma con l’obbligo della firma. Il 30 giugno 2004 però, le autorità francesi (all’Eliseo è intanto subentrato Jacques Chirac) concedono l’estradizione in Italia.  Battisti riesce a fuggire in tempo, destinazione Fortaleza, Brasile. La sua latitanza oltreoceano termina il 18 marzo 2007, quando l’ex terrorista di Sermoneta viene arrestato a Rio de Janeiro in seguito ad un’operazione congiunta dell’Interpol e della polizia francese, italiana e brasiliana. Battisti chiede l’asilo politico, ma il 28 novembre 2008 il Comitato brasiliano per i rifugiati rifiuta.  I suoi legali fanno allora ricorso al ministro della Giustizia brasiliano Tarso Genro, che pochi mesi dopo (gennaio) concede l’asilo politico all’ ex leader degli anni di Piombo, sulla base di «fondati timori di persecuzione per le sue idee politiche». La decisione in ultima istanza spetta però al Supremo tribunale federale, la Corte Costituzionale brasiliana che, dopo il nulla di fatto dello scorso 9 settembre, votando oggi a favore della sua estradizione in Italia, potrebbe porre fine alla lunga fuga di Cesare Battisti.

La lettera di Battisti a Lula. Ecco il testo della lettera aperta «al presidente del Brasile, Inacio Lula, al Magistrato Supremo ed al Popolo Brasiliano», inviata da Cesare Battisti in cui, tra l’altro, l’ex terrorista riporta in epigrafe anche una citazione dell«Uomo in rivolta» di Albert Camus («Trent’anni cambiano molte cose nella vita degli uomini, e a volte sono una vita intera»): «Se guardiamo nel nostro passato da un punto di vista storico, quanti tra noi possono dire sinceramente di non aver mai desiderato affermare la propria umanità, di svilupparla in tutti i suoi aspetti con ampia liberta? Pochi. Sono pochissimi gli uomini e le donne della mia generazione che non hanno sognato di un mondo diverso, più giusto. Peraltro, frequentemente, per pura curiosit  o circostanze, solo alcuni decisero di lanciarsi nella lotta, sacrificando la propria vita.  »La mia storia personale è sufficientemente nota per tornare ancora una volta sulle conseguenze della scelta che mi port¢ alla lotta armata. So solamente che eravamo migliaia, e che alcuni sono morti, altri sono in carcere e molti sono esiliati.  «Sapevamo che poteva finire così. Quanti sono stati gli esempi di rivoluzioni che fallirono, e la cui storia ci era già stata rivelata? Ma anche così abbiamo ricominciato, abbiamo sbagliato e abbiamo perfino perso. Non tutto, però! I sogni vanno avanti!
 »Molte conquiste sociali di cui oggi gli italiani usufruiscono sono state conquistate grazie al sangue versato da quei compagni di utopia. Io sono il frutto di quegli anni ’70, così come molti altri qui in Brasile, compresi molti compagni che oggi sono responsabili del destino del popolo brasiliano. E in verità io non ho perso niente, perchè non ho combattuto per qualcosa che potevo portare con me.  «Ma adesso, detenuto qui in Brasile, non posso accettare l’umiliazione di essere trattato come un delinquente comune. Per questo, dinnanzi alla sorprendente ostinazione di alcuni ministri del Supremo Tribunale Federale, che non vogliono vedere quello che era realmente l’Italia degli anni ’70, che negano le motivazioni dei miei atti, che chiudono gli occhi di fronte all’ assenza totale di prove tecniche della mia colpevolezza riguardo ai quattro omicidi che mi sono stati attribuiti, non riconoscono che sono stato processato in contumacia, la prescrizione e molti altri ostacoli alla mia estradizione. »È inoltre sorprendente e assurdo che l’Italia mi abbia condannato per attività politica e in Brasile c’è chi vuole estradarmi in base alla mia partecipazione a delitti comuni. È assurdo, sopratutto avendo ricevuto dal Governo brasiliano la condizione di rifugiato, decisione per la quale sarò eternamente grato.  «E dinnanzi alle enormi difficoltà di vincere questa battaglia contro il potente governo italiano, che ha usato tutti i suoi argomenti, le sue armi e i suoi ferri, non mi resta altra alternativa se non quella di entrare da adesso in SCIOPERO DELLA FAME TOTALE, con l’obiettivo di vedermi concedere i diritti stabiliti dallo statuto del rifugiato e del prigioniero politico. Con questo spero di impedire, in un ultimo atto di disperazione, questa estradizione, che per me equivale ad una condanna a morte.  »Ho sempre lottato per la vita, ma se si tratta di morire io sono pronto a farlo, ma non per mano dei miei boia. Qui, in questo paese, in Brasile, continuerò la mia lotta fino alla fine e, anche se stanco, non desisterò mai nella mia lotta per la verità. La verità che alcuni insistono nel non voler vedere, e non vi è peggiore cieco di quello che non vuole vedere. «Concludo questa lettera ringraziando i compagni che dall’inizio di questa mia lotta non mi hanno mai abbandonato, e allo stesso modo ringrazio quelli che sono arrivati all’ultima ora, ma che hanno la stessa importanza di chi mi sta vicino dall’inizio di tutta questa storia. A loro va il mio sincero ringraziamento. E come ultimo suggerimento raccomando che possano continuare a lottare per i loro ideali, per le loro convinzioni. Ne vale la pena!  »Spero che l’eredità di chi è caduto sul fronte di battaglia non si riveli vana. Possiamo anche perdere una battaglia, ma sono convinto che la vittoria in questa guerra è riservata a coloro che lottano per la generosa causa della giustizia e della libertà.  «Consegno la mia vita nella mani di Sua Eccellenza e del Popolo Brasiliano», conclude Battisti appellandosi a Lula.