CASO BATTISTI, ESTRADIZIONE PIENA DI INCOGNITE

12/11/2009 di

All’apertura dell’udienza della Corte Suprema del Brasile, chiamata a prendere una decisione in merito all’estradizione dell’ex terrorista rosso Cesare Battisti, molte sono e restano le incognite ancora aperte. Se, infatti, oggi si è appreso che il nuovo giudice del Supremo Tribunale, nominato due mesi fa, non voterà sulla vicenda lasciando prevedere che l’esito della votazione finale possa pendere per l’estradizione (il suo voto sarebbe stato, secondo le attese, contro), ancora restano da sciogliere molti nodi.

A cominciare dalla prospettiva sul cosa succederà se il voto della Corte dovesse tradursi in un pareggio. Una circostanza che potrebbe chiamare ad esprimersi il presidente della Corte, Gilmar Mendes. E che, nel caso potrebbe aprire una contestazione degli avvocati della difesa di Battisti. Tra le altre incognite resta poi quella del ‘dopo-Cortè: se il Tribunale Supremo decidesse per l’estradizione, resta da vedere se la decisione finale spetterà comunque al presidente Luiz Ignacio Lula. Se quest’ultimo dovesse respingere la decisione dell’Stf, potrebbe aprirsi anche una crisi istituzionale con il potere giudiziario. Il Brasile, dove non esiste la pena dell’ergastolo, potrebbe inoltre – come si ventilava nei mesi scorsi – chiedere, nel caso di un via libera all’estradizione, che la pena di Battisti sia commutata nei trent’anni di carcere (pena massima prevista dalla Costituzione brasiliana). C’è poi da vedere se, una volta concessa l’eventuale estradizione, il Brasile decida o meno di processare l’ex terrorista rosso per l’uso di documenti falsi, tra i quali il passaporto, durante il suo periodo di latitanza nel paese. Nel caso di un ‘si« all’estradizione, molte incognite si aprono anche sui tempi che potrebbero trascorrere prima che l’ex terrorista rossa possa effettivamente essere trasferito in un carcere italiano. Anche alla luce della possibilità di un suo eventuale ricorso davanti ai tribunali internazionali di difesa dei diritti umani, tra i quali la Corte interamericana.

 

La lunga fuga dell’ex terrorista di Sermoneta. Dura da 28 anni la fuga di Cesare Battisti, l’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo su cui oggi è chiamata a pronunciarsi il Supremo tribunale federale brasiliano, che deciderà se dare il via libera alla sua estradizione in Italia.  Una fuga iniziata a Frosinone, nel 1981, quando Battisti evade dal carcere dove è stato rinchiuso con l’accusa di aver commesso 4 omicidi nel corso della sua attività di terrorista. Battisti si rifugia in Francia, poi si trasferisce con la moglie in Messico, dove inizia una nuova attività: scrittore di romanzi noir. Durante la sua latitanza in Messico i giudici italiani lo condannano in contumacia all’ergastolo, per aver assassinato, tra il 1978 e il 1979, il maresciallo della polizia penitenziaria Andrea Santoro, i commercianti Pierluigi Torregiani e Lino Sabbadin e l’agente della Digos milanese Andrea Campagna. La sentenza è poi confermata nel 1993 dalla Corte d’appello.  Intanto, già dal 1990, l’ormai affermato romanziere Battisti è tornato in Francia, dove, complice lo scudo della ‘dottrina Mitterand’, è a riparo dall’estradizione. Ma nel 2004, viene arrestato a Parigi in seguito ad una nuova richiesta da parte di un tribunale italiano. Un mese dopo l’ex leader dei Pac viene rimesso in libertà, ma con l’obbligo della firma. Il 30 giugno 2004 però, le autorità francesi (all’Eliseo è intanto subentrato Jacques Chirac) concedono l’estradizione in Italia.  Battisti riesce a fuggire in tempo, destinazione Fortaleza, Brasile. La sua latitanza oltreoceano termina il 18 marzo 2007, quando l’ex terrorista di Sermoneta viene arrestato a Rio de Janeiro in seguito ad un’operazione congiunta dell’Interpol e della polizia francese, italiana e brasiliana. Battisti chiede l’asilo politico, ma il 28 novembre 2008 il Comitato brasiliano per i rifugiati rifiuta.  I suoi legali fanno allora ricorso al ministro della Giustizia brasiliano Tarso Genro, che pochi mesi dopo (gennaio) concede l’asilo politico all’ ex leader degli anni di Piombo, sulla base di «fondati timori di persecuzione per le sue idee politiche». La decisione in ultima istanza spetta però al Supremo tribunale federale, la Corte Costituzionale brasiliana che, dopo il nulla di fatto dello scorso 9 settembre, votando oggi a favore della sua estradizione in Italia, potrebbe porre fine alla lunga fuga di Cesare Battisti.

La lettera di Battisti a Lula. Ecco il testo della lettera aperta «al presidente del Brasile, Inacio Lula, al Magistrato Supremo ed al Popolo Brasiliano», inviata da Cesare Battisti in cui, tra l’altro, l’ex terrorista riporta in epigrafe anche una citazione dell«Uomo in rivolta» di Albert Camus («Trent’anni cambiano molte cose nella vita degli uomini, e a volte sono una vita intera»): «Se guardiamo nel nostro passato da un punto di vista storico, quanti tra noi possono dire sinceramente di non aver mai desiderato affermare la propria umanità, di svilupparla in tutti i suoi aspetti con ampia liberta? Pochi. Sono pochissimi gli uomini e le donne della mia generazione che non hanno sognato di un mondo diverso, più giusto. Peraltro, frequentemente, per pura curiosit  o circostanze, solo alcuni decisero di lanciarsi nella lotta, sacrificando la propria vita.  »La mia storia personale è sufficientemente nota per tornare ancora una volta sulle conseguenze della scelta che mi port¢ alla lotta armata. So solamente che eravamo migliaia, e che alcuni sono morti, altri sono in carcere e molti sono esiliati.  «Sapevamo che poteva finire così. Quanti sono stati gli esempi di rivoluzioni che fallirono, e la cui storia ci era già stata rivelata? Ma anche così abbiamo ricominciato, abbiamo sbagliato e abbiamo perfino perso. Non tutto, però! I sogni vanno avanti!
 »Molte conquiste sociali di cui oggi gli italiani usufruiscono sono state conquistate grazie al sangue versato da quei compagni di utopia. Io sono il frutto di quegli anni ’70, così come molti altri qui in Brasile, compresi molti compagni che oggi sono responsabili del destino del popolo brasiliano. E in verità io non ho perso niente, perchè non ho combattuto per qualcosa che potevo portare con me.  «Ma adesso, detenuto qui in Brasile, non posso accettare l’umiliazione di essere trattato come un delinquente comune. Per questo, dinnanzi alla sorprendente ostinazione di alcuni ministri del Supremo Tribunale Federale, che non vogliono vedere quello che era realmente l’Italia degli anni ’70, che negano le motivazioni dei miei atti, che chiudono gli occhi di fronte all’ assenza totale di prove tecniche della mia colpevolezza riguardo ai quattro omicidi che mi sono stati attribuiti, non riconoscono che sono stato processato in contumacia, la prescrizione e molti altri ostacoli alla mia estradizione. »È inoltre sorprendente e assurdo che l’Italia mi abbia condannato per attività politica e in Brasile c’è chi vuole estradarmi in base alla mia partecipazione a delitti comuni. È assurdo, sopratutto avendo ricevuto dal Governo brasiliano la condizione di rifugiato, decisione per la quale sarò eternamente grato.  «E dinnanzi alle enormi difficoltà di vincere questa battaglia contro il potente governo italiano, che ha usato tutti i suoi argomenti, le sue armi e i suoi ferri, non mi resta altra alternativa se non quella di entrare da adesso in SCIOPERO DELLA FAME TOTALE, con l’obiettivo di vedermi concedere i diritti stabiliti dallo statuto del rifugiato e del prigioniero politico. Con questo spero di impedire, in un ultimo atto di disperazione, questa estradizione, che per me equivale ad una condanna a
morte.  »Ho sempre lottato per la vita, ma se si tratta di morire io sono pronto a farlo, ma non per mano dei miei boia. Qui, in questo paese, in Brasile, continuerò la mia lotta fino alla fine e, anche se stanco, non desisterò mai nella mia lotta per la verità. La verità che alcuni insistono nel non voler vedere, e non vi è peggiore cieco di quello che non vuole vedere. «Concludo questa lettera ringraziando i compagni che dall’inizio di questa mia lotta
non mi hanno mai abbandonato, e allo stesso modo ringrazio quelli che sono arrivati all’ultima ora, ma che hanno la stessa importanza di chi mi sta vicino dall’inizio di tutta questa storia. A loro va il mio sincero ringraziamento. E come ultimo suggerimento raccomando che possano continuare a lottare per i loro ideali, per le loro convinzioni. Ne vale la pena!  »Spero che l’eredità di chi è caduto sul fronte di battaglia non si riveli vana. Possiamo anche perdere una battaglia, ma sono convinto che la vittoria in questa guerra è riservata a coloro che lottano per la generosa causa della giustizia e della libertà.  «Consegno la mia vita nella mani di Sua Eccellenza e del Popolo Brasiliano», conclude Battisti appellandosi a Lula.