OMICIDIO GIANGRASSO, I GIUDICI: LA RAPINA NON E’ UN FUTILE MOTIVO
di MARCO CUSUMANO *
Calin Cazan e Bogdan Florin Hristea aggredirono Antioco Giangrasso con la volontà di ucciderlo. E’ quanto scrivono i giudici della Corte d’Appello di Roma nelle motivazioni della sentenza con la quale hanno ridotto la condanna a carico dei due romeni. Cazan, difeso dall’avvocato Daniela Fiore, ha ottenuto clamorosamente la riduzione della pena da 30 anni a 18 anni e sei mesi, mentre per Hristea c’è stata una riduzione minima: da 18 anni a 17 anni e 4 mesi.
Nelle 16 pagine della motivazione, i giudici tracciano un quadro completo della dinamica dell’omicidio e successivamente affrontano il nodo della volontarietà di uccidere. «La vittima – scrivono i giudici – fu colpita ripetutamente al capo e al volto con pugni, anche con l’impiego di un posacenere, fu immobilizzata alle caviglie e agli arti superiori, gli fu annodato al collo un ampio frammento si stoffa le cui estremità furono inserite nel cavo orale, fu spinto un cuscino sul volto (…). Tutto ciò non solo indubitabilmente fonda il nesso di causalità tra condotta ed evento ma indica, per le modalità dell’azione, la volontà degli imputati di uccidere connotando l’azione come sorretta da dolo diretto». La difesa aveva tentato di sostenere l’ipotesi di omicidio preterintenzionale sottolineando che quando i romeni andarono via dall’abitazione in via Cesare Battisti, Giangrasso era ancora vivo seppur legato mani e piedi e imbavagliato.
La novità della sentenza di secondo grado è l’annullamento dell’aggravante dei “futili motivi”, riconosciuta in primo grado dal gup Tiziana Coccoluto. I giudici della prima Corte d’assise d’Appello di Roma, presieduti da Guido Catenacci, hanno invece negato questa circostanza: «Per la configurabilità della circostanza aggravante dei motivi abietti e futili occorre che il movente del reato sia identificato con certezza, non potendo l’ambiguità probatoria sul punto ritorcersi in danno dell’imputato (…). Del resto è da escludere che l’intento di rapinare possa costituire motivo, per quanto disprezzabile, abietto o futile. Parimenti da escludere – scrivono i giudici – che l’aver adoperato sevizie o l’aver agito con crudeltà (…) non costituisce di per sé prova del motivo per cui si è agito».
In merito al dolo i giudici si esprimono così: «L’intensità del dolo si è espressa ai livelli massimi, nessuno scampo essendo stato concesso a una vittima sostanzialmente indifesa costretta a misurarsi con più persone che hanno approfittato del suo stato di inferiorità fisica». Secondo la ricostruzione la lite sarebbe nata dal rifiuto di uno dei due imputati di concedersi a Giangrasso per un rapporto omosessuale. Gli avvocati di parte civile, Carlo Alberto e Luca Melegari, ricorreranno in Cassazione contro la riduzione della pena. Antioco Giangrasso, 60 anni, fu ucciso il 5 agosto 2006 nel suo piccolo appartamento in via Cesare Battisti al culmine di un violento litigio. (* Il Messaggero 17-10-2009)