OMICIDIO DI SEZZE, CLAUDIO SAVO CONDANNATO A 10 ANNI

17/04/2007 di
di MARCO CUSUMANO * 
 
«L’ho ucciso perché litigavamo sempre». Aveva confessato con queste parole, poco dopo il delitto, davanti al gup Aldo Morgigni. Ieri, dopo un processo lampo con rito abbreviato, il giudice Claudia Dentato ha emesso la sentenza di primo grado: 10 anni di carcere. Il pubblico ministero, Raffaella De Pasquale, non aveva chiesto molto di più: 13 anni.

Claudio Savo, 37 anni, ha ucciso il padre Giuseppe (77 anni) il 9 maggio 2006 nella sua casa di Sezze. Ieri il giudice ha riconosciuto la semi infermità mentale dell’uomo ed ha negato la premeditazione del delitto che è stata invece avallata dall’accusa.
 
Due elementi che, insieme al rito abbreviato che comporta la riduzione automatica di un terzo della pena, hanno notevolmente influito nello sconto di pena. Il delitto è stato commesso una settimana dopo la scadenza dell’indulto (2 maggio 2006) altrimenti Claudio Savo avrebbe beneficiato di un ulteriore sconto di tre anni, arrivando ad una pena quesi irrisoria per un omicidio volontario: 7 anni.
 
Bisognerà ora attendere la motivazione del giudice Claudia Dentato, prevista entro sessanta giorni, per comprendere le ragioni della condanna e il calcolo che ha portato alla pena. Il gup, dopo un’udienza durata appena un’ora, ha deciso che Savo dovrà scontare la pena in un ospedale psichiatrico.
 
Il processo si è articolato soprattutto sulle condizioni psichiche dell’imputato. Sull’uomo, difeso dall’avvocato Giorgio Maria Pompei, è stata effettuata una perizia dagli psichiatri Rinaldi e Micoli, che hanno appurato una parziale incapacità di intendere e volere, confermata anche nella sentenza di ieri. Nella relazione consegnata al giudice è stata evidenziata la presenza di una serie di disturbi di personalità legati a manie di persecuzione evidenti.
 
I problemi di Claudio Savo nei confronti del padre risalgono all’infanzia. L’uomo ha vissuto sin da allora con un costante timore del padre, una figura ai suoi occhi severa, dura e inplacabile. Il padre non accettava lo stile di vita del figlio, lo considerava trasandato e fannullone e non perdeva occasione per esternare la sua disapprovazione. Il figlio è cresciuto – sempre secondo la ricostruzione degli psichiatri – con un costante timore del giudizio del padre e soprattutto delle sue azioni minacciose contro di lui.
 
Temeva che lo scontro potesse degenerare e così, nella sua mente, ha pensato di eliminare il problema uccidendo il padre a bruciapelo. Il parricida ha aspettato che in casa non ci fosse nessuno, si è avvicinato al letto e ha aperto il fuoco con una doppietta da caccia calibro 12. Il fucile era del papà. (* Il Messaggero, 17-04-2007)