Sangue infetto all’ospedale di Sezze, maxi risarcimento per una donna malata

09/01/2012 di
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E’ stato pubblicata oggi la sentenza del Tribunale di Roma, Giudice Dott.ssa Carmen Bifano, che condanna il Ministero della Salute ad un risarcimento record di circa 400.000 euro in favore di una donna di Sezze di 67 anni che nel 1975 venne trasfusa con sangue infetto presso l’Ospedale Civile di Sezze. A seguito delle emotrasfusioni, la donna ha contratto gravissime infezioni e principalmente l’epatite C accertata nel 2003 presso l’ospedale Santa Maria Goretti di Latina.

Dopo aver accertato la responsabilità gerarchica del ministero per il fatto illecito dell’Ospedale di Sezze (mancanza di controlli sul sangue infuso), il Giudice ha proceduto ad una quantificazione del danno non patrimoniale tenendo conto non solo e non tanto del danno al fegato provocato dall’epatite C ma anche di ulteriori gravissimi pregiudizi alla vita di relazione.

Infatti, la consapevolezza del contagio (dopo il 2003) ha condotto la donna ad un comportamento familiare “legato” e guardingo e, comunque, ad un comportamento relazionale dettato da aggressività, depressione, isolamento e paura di una possibile (nella sua mente: probabile) morte, tanto da dover ricorrere una terapia di sostegno psichiatrico.

“Dalla data di diagnosi di HCV (2003), la donna di Sezze – spiega l’avvocato Renato Mattarelli – si è del tutto isolata e tende sempre più ad emarginarsi per non dover spiegare agli altri il proprio stato di salute. La percezione della qualità della vita è cambiata: il rapporto con se stessa è permanentemente mutato: l’inattività forzata, i gesti più semplici diventano una gran fatica; non c’è riposo nel sonno per la donna, condotta, suo malgrado, ad una inesorabile ed inevitabile perdita di autostima. Il rapporto con gli altri è cambiato per la perdita di fiducia nel prossimo, anche nelle persone più intime, che non possono capire la sua condizione di “infettata”. Prima del contagio del 1975, era una persona felice, socialmente attiva e con molti amici; dopo la diagnosi di HCV del 2003, la donna è sprofondata nella certezza negativa di non poter vivere ogni situazione di svago”.