Bove: “La prostituzione si combatte colpendo il racket”

Le nuove misure di lotta alla prostituzione, messe a punto dal Ministro dell’Interno, si riveleranno parziali o addirittura inutili, se non saranno accompagnate da adeguati interventi di protezione sociale per le vittime della tratta degli esseri umani. Una delle disposizioni previste è la possibilità di allontanare le prostitute dal comune dove sono state trovate dalle forze di polizia. Una specie di ritorno al foglio di via obbligatorio.
Prendiamo la realtà del nord della provincia di Latina. Qui, tra la strada pontina, da Terracina fino a Latina, Cisterna, Aprilia, le organizzazioni che gesticono il racket, muovono una media di una 20-30 prostitute, presenti ogni giorno. Il giro d’affari è di un certo spessore. Una prostituta può arrivare ad incassare anche 600 euro al giorno. Se le ragazze proprio non potranno più stare in strada, le organizzazioni certo non rinunceranno al business e troveranno dei luoghi chiusi, delle case dove potranno esercitare. Magari cambiando continuamente sedi per non essere individuati. Ma in questo modo sarà molto più difficile , se non impossibile, da parte degli operatori sociali di strada, entrare in contatto con le ragazze. Cioè non si potranno neanche avviare i colloqui alla base di tutte quelle iniziative tendenti alla loro messa in protezione e al loro aiuto. Soprattutto quando sono minorenni. Un altro rischio è che una volta allontanate da un comune, le prostitute si spostino nel comune vicino. Le organizzazioni che le gestiscono le farebbero ruotare su comuni diversi. Magari spostandole continuamente in province e regioni diverse, costringendo le forze di polizia ad un gioco al rimpiattino estenuante, tra accertamenti, identificazioni, denunce e decreti di allontanamento. Con il rischio che, alla fine sia estenuante e molto dispendioso, portare a compimento le azioni repressive.
Ritengo che, ancora una volta, le misure di contenimento repressivo e di contrasto , debbano essere rivolte al racket, più che alle ragazze che ne sono vittime. Dirò di più : senza una valida, parallela, azione sociale, anche l’attività repressiva delle forze di polizia ha una minore incisività. Bisogna rafforzare tutto il circuito che va dalle unità di strada, che prendono contatto con le vittime della tratta, ai centri di accoglienza specializzati, agli scambi e collaborazioni, tra servizi sociali e forze di polizia, italiani e dei paesi di origine. Questo è il percorso virtuoso che avevamo avviato quando, dal 2006 al 2009, operavamo in strada in collaborazione ed in coordinamento con gli operatori sociali della Provincia di Roma. L’integrazione tra gli operatori sociali dei vari territori, tra questi e le forze di polizia e la magistratura è una soluzione indispensabile per giungere a dei risultati concreti. In quel periodo alcuni nostri operatori di strada si sono specializzati su questi temi ed erano attivi anche in provincia di Roma, nelle zone a cavallo tra le due province, tra Campoleone, Santa Palomba, la pontina. Magari si usciva insieme con i colleghi romani, perché le ragazze di strada erano le stesse, anche se a volte le trovavi a Fossignano di Aprilia e il giorno successivo nei pressi della stazione di Santa Palomba, nel comune di Pomezia. Si lavorava per il contrasto della tratta, ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n.286, 25 luglio 1998 (misure per il contrasto della tratta degli esseri umani). Nonostante le ben note difficoltà organizzative siamo riusciti a mettere in protezione una decina di ragazze di strada, tra cui cinque minorenni. Molte altre prostitute sono state accolte quando erano in difficoltà e aiutate. Questo ha permesso di avviare delle indagine sociali e in seguito delle indagini di polizia che hanno condotto alla identificazione e all’arresto dei trafficanti.
Questa è la strada che dovrebbe essere ripresa. Non disperdendo il patrimonio di esperienze professionali acquisito da tutti quelli che hanno collaborato a raggiungere questi risultati: dalle unità di strada, alle forze di polizia, ai responsabili dei centri di accoglienza e casa famiglia, ai magistrati.
* Ex coordinatore sala operativa sociale della Provincia e della Prefettura
La mia ricetta è questa: ammesso che il mestiere più antico del mondo non verrà mai debellato, direi di riaprire le casa d’appuntamento e regolarizzare la prostiruzione. E si raggiungono svariati obbiettivi: 1)I papponi spariscono 2)Non si consumano atti osceni per le strade 3)Fare pagare alle stasse le tasse. Chi deve esercitare deve aprire una partita iva. 4)Sottoporre le stesse una volta al mese a visita medica.
Come si sa il giro della prostituzione muove milioni di euro che in gran parte invece di finire nelle bistrattate casse di questo governo, finiscono in mano ai papponi. E non è detto che si riesce a sanare il debito pubblico. E visto che le tasse vengono pagate in primo luogo chi ha la busta paga cè la speranza che esse vengono diminuite
Stiamo trattando non di semplice prostituzione ma di tratta di persone.E’ mai possibile che anche la società civile pensa a come farsi i soldi sulle spalle di queste sventurate! Mi chiedo perchè non si scandalizzano per le scene oscene che fanno vedere in tv alias nelle proprie case, pagando per giunta il canone!Faccio una proposta, provocatoria naturalmente,per sanare il debito pubblico possiamo a turno andare a battere tutte e tutti nelle case chiuse .