Indiani dopati per lavorare di più, ora temono ritorsioni dopo lo sciopero in piazza
Lavorano 14 ore al giorno anche per 28 giorni al mese nei campi dell’Agro Pontino, e spesso sono costretti a “doparsi” con sostanze chimiche, oppiacei o metanfetamine, per reggere il ritmo. E se provano ad alzare la testa non è raro che vengano picchiati dai caporali o licenziati dai “padroni”. Ieri però i braccianti agricoli sikh della provincia di Latina – espressione di una comunità indiana di circa 20 mila persone – hanno raccolto l’iniziativa della Cgil e, per la prima volta, hanno incrociato le braccia e scioperato per chiedere diritti e paghe dignitose in quella che per il segretario regionale della Flai Cgil Pino Cappucci è stata «una pagina di storia per l’agricoltura dell’Agro Pontino». Che però rischia di essere uno spartiacque dalle conseguenze difficilmente prevedibili.
«Non posso escludere che la rottura che c’è stata con lo sciopero e i rischi di licenziamenti collettivi non portino a forme, sparpagliate, di ribellione» afferma il presidente della coop sociale InMigrazione Marco Omizzolo, che riferisce di intimidazioni e violenze prima dello sciopero e di episodi di allontanamento del posto di lavoro già oggi, a 24 ore dalla manifestazione ai piedi della prefettura di Latina.
Omizzolo descrive una situazione «al limite della schiavitù», che verte su caporali locali e trafficanti che si incaricano di reclutare nel Punjab potenziali lavoratori per l’agricoltura pontina con un contratto di lavoro su chiamata. Per i trafficanti è un business, spiega: «Possono prendere per ogni lavoratore tra i tremila e i cinquemila euro» dall’imprenditore, mentre «il lavoratore può pagare il trafficante anche 7-12 mila euro. Gli viene costruita una aspettativa, un sogno di benessere».
Ma la realtà che questi agricoltori trovano nel Pontino è molto diversa: sono lontani migliaia di chilometri da casa, non parlano l’italiano, e gli unici referenti sono i caporali, che vogliono essere chiamati “padroni”. La loro realtà diventa ben presto il ciclo massacrante del lavoro sottopagato.
«Tra Latina e Fondi e più precisamente nell’area tra Sezze, Pontinia, Sabaudia e Terracina – si legge in un documento consegnato ieri dalla Cgil e da una delegazione di lavoratori al prefetto di Latina – le aziende hanno ‘normalizzatò le retribuzioni dei braccianti agricoli stranieri tra le 3,50 e i 4 euro l’ora, meno della metà della paga contrattuale lorda. Alcuni imprenditori – prosegue il sindacato – hanno architettato un meccanismo per il quale viene loro riconosciuto un numero minimo di giornate in busta paga, a retribuzione fissa, pur lavorando questi ultimi almeno 26 giorni al mese, durante i periodi di maggiore intensità lavorativa, anche 10 mesi l’anno di lavoro». Ieri il tema è stato affrontato anche dalla commissione Antimafia del Consiglio regionale del Lazio: «Mi impegno a sollecitare presso la commissione Agricoltura e Lavoro – ha affermato al termine dell’audizione la vicepresidente Marta Bonafoni (Si-Sel) – l’inizio dell’iter della proposta di legge per il contrasto al lavoro nero in agricoltura che ho depositato insieme al consigliere Valeriani del Pd».
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