Volantini davanti alla moschea di Latina, espulso un tunisino che inneggiava alla Jihad
L’hanno bloccato mentre distribuiva davanti ad un luogo di culto islamico di Latina, la pubblicazione di un movimento radicale che inneggiava alla jihad contro gli infedeli: Mohamed Hackemi Triki, tunisino di 50 anni da 11 in Italia e con regolare permesso di soggiorno dal 2011, è il 74/o straniero espulso dall’inizio del 2015 per motivi di sicurezza pubblica.
Il decreto è stato firmato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano: «Chi proviene da altri paesi, da altre culture e professa altre religioni – ha ribadito il titolare del Viminale – trova da noi ospitalità e rispetto delle proprie tradizioni. Ma chi è in contrasto con le nostre leggi, viola le nostre regole e attacca i nostri valori, deve andare immediatamente via». E Triki, secondo le indagini degli uomini della Digos, aveva ampiamente preso di mira l’occidente e il nostro paese. Perquisendo la sua abitazione, i poliziotti hanno trovato diversi testi scritti in cui il tunisino incitava i giovani musulmani a compiere azioni violente, a scegliere il jihad contro i cristiani e gli ebrei nemici dell’Islam.
Ma non solo. Dai pedinamenti e dal monitoraggio costante delle sue comunicazioni, anche via internet, è emerso che Triki aveva diverse relazioni e contatti con soggetti che condividevano le sue posizioni radicali e sui quali sono ancora in corso gli accertamenti. La conferma che la radicalizzazione fosse ormai completa, gli investigatori l’hanno avuta dal profilo Facebook, dove l’uomo postava affermazioni esplicite contro l’Italia, diversi documenti riguardanti la guerra in Siria, filmati di combattenti in azione, immagini di persone uccise o ferite, bandiere e proclami dell’Isis.
Gli stessi che, sospettano gli inquirenti milanesi e i carabinieri del Ros, da oltre un anno sono il pane quotidiano per Alice ‘Aishà Brignoli e Mohamed Koraichi – lei italiana convertita, lui marocchino – che dalla provincia di Lecco avrebbero raggiunto la Siria e si sarebbero uniti all’Isis. Nei confronti dei due la procura ha aperto un fascicolo ipotizzando l’articolo 270 bis, vale a dire il terrorismo internazionale, e i loro nomi sono finiti nell’elenco dei foreign fighters italiani, quasi un centinaio di persone tra cittadini italiani, naturalizzati e stranieri che hanno avuto a che fare con l’Italia e che vengono costantemente monitorati.
La storia è emersa quando la madre di Alice-Aisha, a maggio del 2015, ha denunciato la scomparsa della figlia, che nella sua fuga con il marito verso i teatri di guerra si è trascinata dietro anche i tre figli, il più grande di 7 anni e il più piccolo di solo un anno e mezzo. Aisha e suo marito Mohamed hanno iniziato il percorso di radicalizzazione nel 2009, in concomitanza con la nascita del primo figlio: lei ha iniziato ad indossare il velo e a studiare l’arabo, lui si è fatto crescere la barba e sempre più spesso girava con una tunica bianca. Con il passare del tempo i due hanno tagliato i ponti con le famiglie e a maggio dell’anno scorso sono partiti. Prima tappa la Turchia e da lì hanno poi raggiunto la Siria. Quando è entrata nell’appartamento della figlia a Bulciago, la madre di Aicha ha trovato solo un messaggio: «sono partita, non mi cercate, non torno». Da allora solo due telefonate per dire che stava bene e un ultimo messaggio verso la fine dell’anno. Poi il silenzio.
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