FERENTINO, STEFANIA MAGNI: MIO PADRE VITTIMA DELL’OMERTÀ

04/08/2010 di

«Chi ha nascosto la verità su come mio padre è stato ucciso, non è migliore del suo assassino». A parlare è Stefania Magni, figlia di Umberto, il 76enne che il 7 dicembre 2009, in un bar di Ferentino, intervenne in difesa di alcuni ragazzi picchiati selvaggiamente da un trentenne e ne rimediò colpi e spintoni fino a fracassarsi la testa contro il bancone del bar. Perse subito conoscenza e all’arrivo degli operatori del 118 non poté quindi riferire cosa gli fosse accaduto. Non lo fecero, però, neanche i tanti presenti.


«Nella cartella clinica – continua Stefania – è contenuto il referto che gli operatori stilarono in merito al loro intervento e si legge che ‘Il paziente avrebbe avvertito malore il pieno benesserè, cioè i presenti hanno riferito che mio padre si sarebbe sentito male e cadendo a terra avrebbe riportato le ferite alla testa». Il racconto di Stefania, che vive con la famiglia ad Alfedena, è intriso di rabbia e dolore. La donna nel suo sfogo dice anche: «Al nostro arrivo in ospedale, a Latina dove mio padre venne trasferito d’urgenza, capirono che non si trattava di ischemia cerebrale così come diagnosticato a Frosinone. Solamente 20 giorni dopo, i carabinieri di Alatri ci hanno informato di quanto accaduto nel bar grazie ad immagini del sistema di telecamere a circuito chiuso registrate». Umberto, quel pomeriggio, ha assistito alle percosse che un 30enne, violento e fisicamente prestante, stava infliggendo ad alcuni ragazzini, probabilmente suoi pusher. L’anziano, che viveva a Ferentino da quasi 50 anni, ha pensato che si trattava delle prepotenze subite da innocenti e indifesi minorenni, ha quindi tentato di convincere il violento a desistere e ne avrebbe ricevuto colpi e spintoni fino ad essere scagliato con violenza contro il bancone. Nessuno ha denunciato l’accaduto o raccontato il gesto nobile dell’uomo. La verità, però, è emersa grazie alle indagini svolte dai carabinieri comandati dal capitano Aldo Iorio e, circa un mese dopo, Alessandro Iori, riconosciuto grazie alle immagini, è stato arrestato per lesioni gravissime; quattro mesi dopo, l’accusa si è trasformata in omicidio dato che Umberto Magli è morto in una clinica di Cassino dove, nel frattempo, era stato trasferito. L’anziano, dal momento delle percosse, non ha mai ripreso conoscenza. Al termine del processo che lo ha visto come imputato, Alessandro Iori, alcuni mesi fa, è stato condannato ad 11 anni di reclusione. Una sentenza che certamente non rasserena Stefania e i suoi fratelli: «Mio padre poteva scegliere di andar via, ha scelto invece, ascoltando il suo senso civico, di difendere un indifeso. Sono orgogliosa per quello che ha fatto. Quello che mi fa rabbia è stata l’omertà con cui i testimoni hanno nascosto la verità anche agli operatori del soccorso sanitario, negando così a mio padre anche le poche possibilità di salvezza che aveva».