GOODYEAR, L’ANIMA DI GOMMA

10/10/2007 di
Un
operaio, una fabbrica che prima avvelena i suoi dipendenti e poi chiude.
Dopo il film, Il posto dell’anima, l’indagine e il processo per cercare
un po’ di giustizia
Agostino Campagna ha passato tutta la vita a
contestare la fabbrica in cui lavorava, la Goodyear di Cisterna di
Latina denunciando la mancanza di sicurezza e di tutele per la salute.
Era il «rompiscatole». Poi l’azienda ha chiuso e lui, insieme agli ex
colleghi, ora ha trascinato in tribunale nove ex dirigenti
dell’azienda. Tutti accusati di aver causato la morte di 43 operai e di
averne fatti ammalare 19. 

 
di SARA MENAFRA *

Certe
volte vorresti che la storia non ti desse davvero ragione. Che i più
saggi fossero quelli che ti scansavano quando stavi davanti ai cancelli
della fabbrica con un cartello al collo e su scritto «in questa
fabbrica si muore di tumore», o quelli che ti parlavano solo quando i
capi non guardavano.
 La
storia invece è cinica e con il lungo elenco di dipendenti morti per i
fumi respirati nella Goodyear di Latina ha dato ragione ad Agostino
Campagna, che oggi più di tutti si batte perché il tribunale riconosca
le responsabilità dei dirigenti che hanno gestito e chiuso l’azienda.
Fino ad ora le persone coinvolte sono 62, 43 i morti e 19 i malati. I
loro nomi e quelli di altri arrivati dopo l’inizio dell’inchiesta della
procura sono tutti scritti su una agenda che Agostino porta sempre con
sé, con nomi e cognomi scritti in stampatello. Un puntino per i malati,
una crocetta per i morti, senza tanti fronzoli.

La storia di Agostino

Capelli bianchi e arruffati, piumino nero sempre slacciato addosso, al Michele Placido che lo impersonava nel film Il posto dell’anima
Agostino assomiglia parecchio. «Una brava persona, sempre incazzato»
dice dell’attore pugliese. Vive a Cisterna di Latina da quando aveva
una decina d’anni, ma alle sue origini situate sì e no a venti
chilometri da qui ci tiene parecchio. Non è nato a Latina, ma a
Doganella di Ninfa, una frazione della cittadina che ospita un orto
botanico lasciato in eredità da una delle tante casate nobiliari che da
queste parti avevano le loro tenute agricole. Era il 19 settembre 1948,
il padre lavorava nelle cave di pietra attorno a Sermoneta e la madre
era una casalinga. Una decina d’anni dopo il signor Campagna ha trovato
un lavoro migliore, in un laboratorio di marmi, e tutta la famiglia si
è trasferita a Cisterna di Latina. Qui, dopo un breve periodo da
barista, Agostino entra alla Goodyear. «Avevano aperto nel ’64, ma nel
70 arrivò il primo periodo di espansione. Assunsero un sacco di gente,
circa 1200 operai, tra cui il sottoscritto», racconta mentre ti invita
a sedere nel salone di casa sua, un appartamento all’ultimo piano di
una palazzina poco fuori la città con un panorama che mescola capannoni
industriali, vigne e uliveti. A pranzo mette in tavola gli «gnicchetti»
che avevano un posto d’onore anche nel film ispirato alla sua storia,
ricetta esclusiva della moglie.

Il posto dell’anima è la
storia spiccicata della chiusura e delle morti alla Goodyear, solo
trasferita nel paesino abruzzese di San Sebastiano, dove l’operaio
Agostino e il regista Milani si sono conosciuti a forza di
chiacchierate in piazza e scarpinate in montagna. Racconta di una
fabbrica che avvelena i suoi operai per anni e alla fine chiude per
spostare la produzione all’estero e di dipendenti che la contestano ma
le sono affezionati, che come Campagna la chiamano «mamma Goodyear» e
inseguono in America gli ex dirigenti – diventati per metà
irreperibili, alla faccia dell’aplomb da industriali moderni – per
inchiodarli alle proprie responsabilità.

«L’industria della gomma è compresa dallo Iarc (il centro di ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità ndr)
tra le lavorazioni cancerogene sin dal 1982», si legge nella relazione
consegnata al giudice dai periti Francesco Ammaturo e Mariano Bizzarri.
Dai primi anni 80, dunque, i dirigenti della Goodyear avrebbero dovuto
fare qualcosa per limitare i rischi a cui esponevano i propri
dipendenti. E invece fino alla chiusura controlli e interventi sono
stati scientificamente evitati. Tanto che ora i presidenti e direttori
di produzione che si sono avvicendati dal 1974 al 2001 sono tutti
accusati di omicidio colposo e lesioni gravi e gravissime ai danni di
almeno quarantadue persone, tra morti e malati. I nomi dei responsabili
sono quasi tutti stranieri: Richard Antony Grano (irreperibile),
presidente del consiglio di amministrazione della Goodyear spa dal 1974
al 1990, Pierdonato Palusci, presidente dal 1990 al 1996, Antonio
Corsi, presidente dal 1996 al 2001, Arthur Paul Ricchiuti
(irreperibile), direttore di produzione dello stabilimento dal 1977 al
1984, Edward Lucas (irreperibile) direttore di produzione dal 1984 al
1986, Charles Lee Grunder (irreperibile), dal 1986 al 1992, Michael
Claude Murphy, direttore di produzione dal 1992 al 1995, Adalberto
Muraglia, direttore di produzione dal 1995 al 1999, Jeffrey James
Smith, dal 1999 al 2000. Un incidente probatorio concluso la scorsa
primavera ha stabilito che le loro omissioni hanno causato morti e
malattie e a questo punto difficilmente i dirigenti riusciranno ad
evitare le condanne.

Vent’anni di ispezioni

Eppure
il tempo per intervenire ci sarebbe stato. I segnali di pericolo erano
arrivati per tempo e avrebbero potuto essere colti. La prima ispezione
sanitaria alla Goodyear è del 1974, dell’Ente nazionale prevenzione
infortuni. «Il lavoro avviene violando la legge e questa violazione è
causa di infortuni» scrivono gli ispettori vent’anni prima della legge
per la sicurezza sul lavoro 626. Parlano di «ampia dispersione delle
polveri di nerofumo» e suggeriscono correttivi alla produzione e visite
costanti per i dipendenti. Nel 1978 ne arriva un altra, inviata dal
procuratore capo di Latina, Santangelo, e scopre che il reparto
«benbury», quello in cui la gomma viene fusa per creare gli pneumatici,
è fuori legge. Il reparto viene chiuso per 40 giorni. Poi l’azienda
chiede di riaprire e si impegna a sistemare tutti i problemi seguendo
le indicazioni dell’università Cattolica di Milano. Dall’82 all’84 i
medici del reparto «lavoro» sono in azienda per indicare le «migliorie»
da affrontare. Non è facile perché l’intera Goodyear è contenuta in un
unico grande capannone ed è difficile isolare un reparto dall’altro.
Vengono montati alcuni aspiratori, e delle cabine isolate acusticamente
per i reparti più rumorosi. Nel 1984 la Cattolica scrive una relazione
conclusiva, riconoscendo i miglioramenti, ma spiegando che in
produzione rimangono molte sostanze «all’80-85% cancerogene se presenti
in significative quantità sui luoghi di lavoro». La relazione propone
di condurre indagini retrospettive e prospettiche per mettere in
evidenza il rischio cancerogeno e di creare un «registro dei tumori»
aziendale. Per tutta risposta la Goodyear butta fuori i consulenti
della Cattolica. Da quel momento in poi e fino alla chiusura le uniche
relazioni sulla sicurezza, tutte positive, saranno firmate dalla stessa
Goodyear. Con una eccezione: nel 93 arriva una nuova ispezione, un
controllo per verificare che le indicazioni date nei primi anni 80
siano state effettivamente rispettate. Nel 94 la Goodyear viene
nuovamente condannata per non aver rispettato norme per la sicurezza
che risalgono agli anni Cinquanta.

A chiamare gli ispettori è
stato proprio Agostino: «Mi guardavo intorno – dice ora sorridendo – e
mi accorgevo che quelli che mancavano all’appello erano troppi».
Bastian contrario per vocazione, ex militante di Lotta continua
criticissimo con i sindacati confederali, Agostino decide di mettersi a
fare una battaglia, anche a costo di farla da solo. Manifesta davanti
all’azienda e quasi tutte le sere si ferma all’uscita con un cartello
al collo. «Vedevo i colleghi che uscivano in macchina e acceleravano in
curva pur di non fermarsi accanto a me». Con Agostino non parla
nessuno, lui però insiste e comincia pure uno sciopero della fame. Al
sesto giorno però, mentre è a casa sviene e viene portato di corsa in
ospedale. Neppure in quella occasione i suoi colleghi di lavoro lo
vanno a trovare, farsi vedere con lui è quasi un marchio infamante e
dei rischi corsi in azienda nessuno vuol sentire parlare. Oggi quei
ricordi sembrano lontani, perché Agostino «il pazzo» è diventato quello
a cui tutti gli ex colleghi si affidano per capire cosa fare. «Uno fuma
anche se rischia il tumore perché pensa "ma tra tante persone deve
venire proprio a me?". Con l’inquinamento alla Goodyear era la stessa
cosa, tra tante persone perché proprio a me?».

La chiusura e l’inchiesta

Il
19 novembre del 1999 arriva una lettera che spiega come la
riorganizzazione della multinazionale preveda che dal 14 gennaio del
2000 la Goodyear chiude i battenti. Cominciano le assemblee, i
sindacati «si svegliano», partono i picchetti davanti alla fabbrica per
tenerla aperta, gli interventi al parlamento europeo di Bruxelles,
quelli al congresso dei Ds, dove gli operai della Goodyear parlano
addirittura poco prima del segretario Massimo D’Alema. Niente da fare,
la fabbrica chiude. Teoricamente con un progetto di rilancio, grazie
all’intervento di una società mista pubblico-privato, la «Cisterna
sviluppo». In pratica dal giorno della chiusura lo stabilimento che
produceva pneumatici di alto livello non ha mai riaperto, e i progetti
di riqualificazione, bonifica e vendita hanno prodotto una sporca
storia di denunce contrapposte tra diversi imprenditori della zona –
soprattutto quelli della Meccano Holding – e di un finanziamento
pubblico finito chissà in quali tasche.

La storia della Goodyear
a Cisterna di Latina finisce malissimo. Quella dei suoi dipendenti
ammalati di tumore no. Continua. E dopo la battaglia per tenere aperta
la fabbrica, i colleghi di Agostino che per vent’anni gli avevano dato
torto lo cercano per raccontargli di quella inesorabile malattia che li
ha colpiti uno dopo l’altro. «Qualcuno di loro non me lo voleva dire.
Si vergognano, soprattutto quando si tratta di tumori alla prostata. E
allora capita che per strada non mi salutano, fanno finta di non
vedermi. Poi arriva qualcun altro e di nascosto mi spiega tutto». Il
processo contro i dirigenti della Goodyear doveva iniziare lo scorso 26
gennaio, poi con lo sciopero dei penalisti è stato tutto rimandato a
maggio. Tra le parti civili c’è Legambiente, mentre manca il comune di
Cisterna di Latina. Il pranzo è finito da un pezzo, Agostino mette in
moto l’auto, c’è da parlare con l’avvocato e risentire l’associazione
ex dipendenti Goodyear, e poi «il tribunale di Latina è peggio di
quello di Palermo».
 

IL PROCESSO
Alla sbarra i dirigenti autori del disastro

 

Il processo contro i
dirigenti della Goodyear di Cisterna di Latina vede sotto accusa Richard Antony Grano,
Pierdonato Palusci, Antonio Corsi, Arthur Paul Ricchiuti, Edward Lucas,
Charles Lee Grunder, Michael Claude Murphy, Adalberto Muraglia e
Jeffrey James Smith – tutti ex presidenti del consiglio di
amministrazione e direttori di produzione della Goodyear Italia – sono
accusati di omicidio colposo e lesioni gravi e gravissime. Con una
serie di omissioni durata trent’anni avrebbero causato la morte di 43
dipendenti e fatto ammalare altre 19 persone. L’inchiesta è partita
grazie all’esposto presentato dall’associazione degli ex dipendenti
Goodyear rappresentati dagli avvocati Luigi Di Mambro, Michela Luison e
Mario Battisti. La perizia presentata dagli oncologi Francesco Ammaturo
e Marino Bizzarri, al centro dell’incidente probatorio concluso in
primavera, ha chiarito che le prime notizie certe del legame tra la
lavorazione degli pneumatici e il tumore alla vescica, allo stomaco e
ai polmoni risale almeno agli anni 80. Eppure dall’apertura, nel 1964,
la multinazionale della gomma non ha mai messo a norma lo stabilimento.
La Goodyear ha chiuso nel 2000 e quattro dei suoi dirigenti sono a
tutt’oggi irreperibili. (* Il Manifesto)