Cassazione: stop agli interventi senza speranza

09/04/2011 di

Violano il codice deontologico i chirurghi che sottopongono ad interventi inutili i malati «inoperabili» e afflitti da tumori che gli lasciano solo poco tempo di vita, anche nel caso in cui sia stato proprio il paziente a dare il suo consenso informato all’operazione. Lo sottolinea la Cassazione confermando la colpevolezza di tre medici dell’ospedale San Giovanni di Roma – tra i quali l’ex primario Cristiano Huscher, pioniere della chirurgia mininvasiva – che avevano operato, provocandone la morte, una donna di 43 anni. La signora aveva solo 6 mesi di vita per un tumore al pancreas con metastasi già diffuse ovunque.

«La sentenza è corretta – ha commentato Lorenzo D’Avack, vicepresidente del Comitato nazionale di Bioetica -: è lo stesso Codice deontologico a prevedere che il medico possa agire solo laddove vi sia una possibilità di intervento sanitario o chirurgico ‘ragionevolè e nell’interesse del paziente. L’accanimento terapeutico è espressamente vietato».

In particolare, i supremi giudici – con la sentenza 13746 della Quarta sezione penale specializzata in colpa medica – hanno condiviso «il prioritario profilo di colpa» individuato a carico dei sanitari dalla Corte d’Appello di Roma, nel maggio 2009, per aver violato oltre alle regole di prudenza, anche le disposizioni «dettate dalla scienza e dalla coscienza» di chi pronuncia il giuramento di Ippocrate. «Nel caso concreto – spiega la Cassazione – date le condizioni indiscusse ed indiscutibili della paziente (affetta da neoplasia pancreatica con diffusione generalizzata, alla quale restavano pochi mesi di vita e come tale da ritenersi inoperabile) non era possibile fondatamente attendersi dall’intervento un beneficio per la salute e/o un miglioramento della qualità della vita».

Anche se l’intervento, prosegue la sentenza, era stato «eseguito in presenza di consenso informato della donna, madre di due bambine e dunque disposta a tutto pur di ottenere un sia pur breve prolungamento della vita». «I chirurghi pertanto – aggiunge il verdetto – avevano agito in dispregio al codice deontologico che fa divieto di trattamenti informati a forme di inutile accanimento diagnostico-terapeutico».

Il dottor Huscher, che ha a suo carico una sfilza di altri processi per decessi sospetti, infatti, Š stato tratto a giudizio non solo per l’omicidio colposo della paziente, provocato dalla lesione della milza durante l’inutile asportazione delle ovaie, ma anche per aver preso la decisione «di voler effettuare l’intervento chirurgico».

La poveretta morì l’11 dicembre 2001, in conseguenza dell’emorragia che Huscher non si era nemmeno accorto di aver provocato. Poche ore dopo essere uscita dalla sala operatoria, la donna iniziò a stare male e fu necessario ma inutile rianimarla. Nella manovra le fratturarono pure lo sterno e due costole. Ad Huscher è stata inflitta la pena di un anno di reclusione, a Carmine N. quella di dieci mesi e di 8 ad Andrea M. Il reato si è prescritto perché‚ sono passati più di 7 anni e mezzo dal delitto. La Suprema Corte, però, si è rifiutata di prosciogliere i tre camici bianchi. Dovranno, almeno, risarcire i danni morali ai familiari della paziente mutilata anzitempo di quel soffio di vita che aveva ancora. «Comincia ad affacciarsi l’idea dell’autodeterminazione del paziente che può finire per ‘squilibrarè l’alleanza terapeutica medico-paziente, tra l’ altro a danno del paziente stesso», ha commentato il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella, che ha giudicato «ragionevole» la decisione della Cassazione.

Secondo Giovanni Monchiero, presidente del Fiaso che riunisce il 60% delle aziende sanitarie pubbliche, «può essere l’occasione per una nuova riflessione sull’etica professionale all’interno delle aziende. Molte realtà locali, peraltro, hanno avviato significative iniziative per l’umanizzazione della medicina di fronte all’eccesso di tecnologia».