Settant’anni fa la battaglia di Montecassino

18/05/2014 di

La Battaglia di Montecassino, di cui oggi si è rievocata la conclusione il 18 maggio di 70 anni fa, alla presenza, fra gli altri, del Principe Harry, fu uno dei più spaventosi massacri della Seconda Guerra Mondiale, protrattosi per quattro mesi e che coinvolse in fasi successive ben 10 nazioni da 5 continenti, fra cui Francesi Liberi, polacchi, marocchini, algerini, indiani (fra cui i Gurkha nepalesi), australiani, neozelandesi (con una divisione Maori), canadesi e italiani dell’Esercito del Sud. Decisiva per l’avanzata alleata e la liberazione di Roma, fu pagata a un esorbitante prezzo di sangue: oltre 55.000 morti fra gli anglo-americani (5/a Armata Usa e 8/a Armata britannica) e loro alleati, circa 20.000 fra tedeschi (10/a Armata) e alcune unità della Repubblica di Salò, centinaia di civili, oltre alla distruzione dell’antica Abbazia e dello storico borgo di Cassino.

I tedeschi, complici sottovalutazioni ed errori tattici da parte alleata, si rivelarono un osso durissimo. Passaggio obbligato per raggiungere la capitale, i monti Aurunci che dominano Cassino erano la roccaforte, il punto di massima tenuta della linea difensiva Gustav. Perfettamente compenetrata all’impervia geografia, era costituita da centinaia di postazioni di artiglieria fortificate e mimetizzate, nidi di mitragliatrice, trappole naturali d’ogni tipo nascosti fra le montagne, da cui i tedeschi godevano d’una visuale ampia sulle valli del Liri, Garigliano e Rapido, l’impetuoso torrente che passa per Cassino, dov’erano dislocate divisioni di panzer. I tedeschi inoltre avevano provocato l’esondazione del Rapido, il cui guado, nelle prime fasi, costò agli americani migliaia di morti in poche ore. Il primo attacco fu lanciato il 12 gennaio 1944, ma si rivelò un fallimento, malgrado il tentativo (respinto) di aggiramento da parte delle truppe francesi dalle montagne, mentre gli anglo-americani erano impantanati nel fondovalle allagato sotto una pioggia infernale di artiglieria. Nel frattempo gli Alleati erano sbarcati ad Anzio, dove avevano creato una testa di ponte, ma non riuscivano ad avanzare. La speranza di una ricongiunzione rapida fra il fronte alleato di Cassino e Anzio era illusoria. Inoltre il comandante supremo tedesco in Italia, Albert Kesserling, aveva inviato a Cassino ingenti rinforzi.

Nella seconda battaglia fu decisa la controversa distruzione dell’Abbazia – decisione presa dal comandante in capo, il britannico gen. Harold Alexander, malgrado il parere contrario del comandante della 5/a Armata Usa, gen. Mark Clark. Si riteneva che fosse la postazione privilegiata dei tedeschi e il 15 febbraio fu tempestata da 1.150 tonnellate di bombe sganciate dalle Fortezze Volanti B-17. Valutazione errata: non solo non vi erano soldati nel monastero (morirono in compenso 230 civili che vi si erano rifugiati), ma fra le rovine si arroccarono i parà tedeschi, rendendolo un fortino difficilissimo da espugnare. Fu espugnato solo tre mesi dopo, nella quarta offensiva (chiamata Operazione Diadem), la mattina del 18 maggio, dai soldati polacchi al comando del gen. Wladislaw Anders, la cui azione, a costo di gravi perdite, fu decisiva. L’8/a Armata aveva sfondato la linea nella Valle del Liri, gli alleati tenevano ormai molte delle cime, i neozelandesi avevano preso Cassino.

I tedeschi, per non restare accerchiati quando le truppe marocchine penetrarono a sud, si ritirarono. L’avanzata da sud si congiunse alle forze di Anzio e Roma fu liberata il 4 giugno, due giorni prima del D-Day in Normandia. La tragedia di Montecassino ebbe un colpo di coda avvelenato nei giorni successivi, quando i soldati nordafricani francesi furono «liberi» di prendersi un «bottino di guerra» e si lasciarono andare a stupri, violenze e saccheggi sui civili.