Fidanzatini uccisi a Cori, dopo oltre 20 anni di carcere Marco Canale è libero e lavorerà al Comune di Cisterna

07/11/2019 di

Dopo oltre 20 anni Marco Canale è uscito dal carcere e ora viene impiegato dal Comune di Cisterna per un “tirocinio formativo e di reinserimento sociale”.

L’uomo, oggi 49enne, ha scontato la pena definitiva per l’omicidio di Elisa Mafarini e Patrizio Bovi, i fidanzatini di Cori massacrati il 9 marzo 1997 nel piccolo paese in provincia di Latina.

Lei appena 17 anni, lui 23, furono trovati dal padre di Elisa in un lago di sangue, martoriati da centinaia di coltellate. Un giallo che durò per anni, fino a una condanna definitiva che lasciò comunque una serie di dubbi. Marco Canale all’epoca aveva 27 anni, fu condannato a 30 anni e pochi mesi fa, grazie al previsto sconto di pena in caso di buona condotta, è uscito dal carcere.

Ora sarà inserito in un progetto di “tirocinio formativo e di reinserimento sociale” come si legge in una determina dirigenziale del Settore Welfare pubblicata sull’albo pretorio del Comune di Cisterna. Il documento – come scrive Il Messaggero – spiega la grave difficoltà di Canale (il nome è omissis) a reinserirsi nel mercato del lavoro e per questo sarà assunto come operaio per circa due mesi.

Un iter deciso con i servizi sociali. Dopo il periodo di prova, la sua condizione sarà verificata dagli specialisti. E’ stata impegnata la somma complessiva di 1.700 euro come retribuzione per il bimestre di attività di Marco Canale. Il percorso è stato valutato come la soluzione migliore per il reinserimento dell’ex detenuto.


IL DELITTO DI CORI.

A Cori il 9 marzo 1997, in un’abitazione di Via della Fortuna 41, verso le 23:30, vennero ritrovati i cadaveri dell’operaio ventitreenne Patrizio Bovi, detto Gianni, appassionato di musica leggera e con piccoli precedenti per spaccio di droga, e della sua fidanzata, la studentessa diciassettenne Elisa Marafini. A scoprire i cadaveri furono il fratello quindicenne e il padre di lei, Angelo Marafini, maresciallo dei carabinieri in pensione, e Massimiliano Placidi, amico degli assassinati. Le vittime furono uccise tramite un accoltellamento impressionante: 51 coltellate furono sferrate su Patrizio Bovi e 124 su Elisa Marafini. Come arma del delitto fu usato un coltello da cucina che i carabinieri trovarono qualche giorno dopo in quella casa ripulito dalle impronte. Secondo la testimonianza di una famiglia polacca che abitava nelle vicinanze, durante il delitto, tra le 20:30 e le 21:00, l’assassino aveva alzato la musica dello stereo a tutto volume per non far sentire le grida delle vittime. La dinamica dovrebbe essere stata questa: le due vittime cenarono insieme al piano inferiore della casa, dopo arrivò qualcuno che voleva parlare con Patrizio Bovi da solo, i due salirono al piano superiore e dopo una discussione l’assassino accoltellò ripetutamente Patrizio; Elisa Marafini, rimasta di sotto, sentendo un trambusto tra la musica a tutto volume, salì di sopra e il carnefice infierì con maggiore ferocia anche su di lei.
Patrizio Bovi era un ragazzo originario della Campania che era stato adottato da una famiglia di Cisterna di Latina; pochi mesi prima della sua uccisione era andato ad abitare da solo a Cori Monte, qui aveva conosciuto Elisa Marafini e i due si erano fidanzati.

Nel primo pomeriggio del 9 marzo 1997 Elisa Marafini uscì da casa sua a Cori Valle, fu vista fare una telefonata da un telefono pubblico in un bar vicino la sua abitazione, poi fare l’autostop al Ponte della Catena per raggiungere Cori Monte ed incontrarsi con Patrizio. Quella sera ella poté trattenersi oltre l’orario che le era consentito di rientrare (19:30) perché i suoi familiari erano fuori casa, come constatava telefonando frequentemente a casa sua col cellulare del suo fidanzato e non riceveva risposte.

Il padre di Elisa, che non approvava la relazione amorosa della figlia, dopo essere rincasato con la famiglia ed aver cenato, non vedendo ancora rientrare sua figlia, diede l’allarme e andò a cercarla, accompagnato da suo figlio. Non trovandola in giro per Cori e vedendo che a casa di Patrizio, situata in Via della Fortuna, non rispondeva nessuno, andò a casa di Massimiliano Placidi, sapendo da suo figlio che Bovi era un suo amico al quale prestava l’automobile e dove abitasse, ma non lo trovò. In seguito il padre di Elisa si procurò una scala (nella sua campagna) e tornò in Via della Fortuna per arrampicarsi su una finestra e dare un’occhiata all’interno della casa di Patrizio; qui incontrò Massimiliano Placidi che si offrì di salire sulla scala. Una volta salito sulla finestra, Placidi vide all’interno dell’abitazione i giubbotti dei due ragazzi e l’acquario di Bovi spento, quando solitamente era sempre acceso. Allora sfasciò il vetro, entrò, aprì la porta di casa e fece entrare il padre ed il fratello di Elisa. Al secondo piano della casa trovarono in un lago di sangue i cadaveri di Elisa Marafini e di Patrizio Bovi: uno era nella camera da letto, un altro nel bagno.

LE INDAGINI.

Le forze dell’ordine che indagavano sul delitto, escludendo l’ipotesi dell’omicidio – suicidio per mano di Patrizio Bovi, si concentrarono su due piste: lo spaccio di droga e il delitto passionale. Alcuni giorni prima al Bovi erano stati venduti 200 grammi di cocaina che venduta al dettaglio, avrebbe fruttato 40 milioni di lire.
L’atteggiamento di Angelo Marafini, che quella notte andò a rimettere la sua scala a posto prima di recarsi in caserma per gli interrogatori, indispettì gli inquirenti.

In particolare furono interrogate sette persone: oltre Angelo Marafini, Piero Agnoni, Marco Canale, suo fratello Massimo, suo padre Angelo, Massimiliano Placidi e Mauro Meloni che aveva venduto la cocaina a Gianni Bovi. Meloni fu arrestato per spaccio di droga, mentre Angelo e Massimo Canale furono denunciati per possesso illegale di armi. Il cerchio dei sospettati si ridusse ulteriormente; questi la sera del delitto erano stati invitati ad una festa da Patrizio Bovi nella sua casa, ma tutti declinarono l’invito.

Piero Agnoni rimase a casa con sua madre che confermò l’alibi. Successivamente le attenzioni degli inquirenti si concentrarono su uno degli scopritori dei cadaveri dei fidanzatini, Massimiliano Placidi, 28 anni, aspirante infermiere, la cui forte amicizia con Patrizio Bovi era determinata dallo stesso destino di figlio adottivo: sui suoi pantaloni furono trovate alcune macchie rosse, venne quindi arrestato e tenuto in carcere per 24 giorni. Secondo l’accusa, sotto l’effetto della droga, sarebbe stato colto da un raptus di gelosia perché invaghito di Patrizio Bovi, a conferma di questa tesi c’era anche una lettera di Elisa Marafini che parlava di un amico geloso che si frapponeva tra lei e Patrizio Bovi. Il Placidi in un primo momento confessò, successivamente negò ogni accusa, sostenendo che nell’ora del delitto era nel suo studio, sotto la propria abitazione, a farsi la doccia e di essere stato costretto a confessare perché sottoposto a potenti pressioni psicologiche e a ricatti durante gli interrogatori, venendo perfino picchiato. Tuttavia le macchie rosse sui suoi pantaloni e sul tappetino della sua doccia, dopo accurate analisi, risultarono essere solo muffa e ruggine e Placidi venne scarcerato. Al momento della scarcerazione Placidi lanciò accuse contro Angelo Marafini e i carabinieri e venne querelato.

Ad un altro amico della coppia uccisa, il trentenne Marco Canale, operaio di Cisterna, che mesi prima aveva abitato nello stesso appartamento del delitto, all’indomani dell’omicidio furono sequestrati i pantaloni, sui quali vennero trovate tracce ematiche compatibili con quelle delle due vittime: il 26 aprile 1997 venne arrestato. Neanche le analisi dei capelli che furono trovati sotto le unghie delle vittime, confrontate con il DNA degli indagati, stabilirono con esattezza un colpevole.

Gli investigatori seppero che Canale, alcuni giorni prima del delitto, aveva litigato violentemente con Bovi perché gli doveva dei soldi, forse era un suo complice nel traffico di droga ed aveva partecipato ad un festino a casa dello stesso. L’incriminato negò ogni accusa nei suoi confronti, sostenendo che nel primo pomeriggio del 9 marzo si era fatto accompagnare in auto da Cisterna a Cori da alcuni amici (che andarono subito via) e di non essere stato a casa di Bovi, di aver più volte provato a chiamare col cellulare i propri familiari, di essere sceso da Cori Monte a Cori Valle a piedi poco dopo le 16:00, di aver raggiunto il podere del nonno, dove aveva consumato uno spinello, di aver fatto l’autostop alle 18:00 per tornare a Cisterna, al quartiere San Valentino; da lì chiese un altro passaggio ad una coppia di conoscenti (che confermarono) per recarsi a casa sua al centro di Cisterna ed esserci arrivato alle 18:40. Qualcuno vide Canale alle 21:00 nel balcone di casa.

A sorpresa durante il processo l’imputato Marco Canale dichiarò di essere stato due volte nell’appartamento di Via della Fortuna a metà pomeriggio di quel 9 marzo: la prima volta non entrò, più tardi, trovando aperta la porta, lo fece e vide Patrizio Bovi ed Elisa Marafini già morti, poi scappò via senza avvisare nessuno, ma ben 7 testimoni lo smentirono, dichiarando di aver visto le due vittime camminare in Piazza Signina a Cori Monte verso le 19:30. Più di qualche testimone dichiarò inoltre di aver visto un uomo dell’altezza di Marco Canale gettare un sacco dei rifiuti in un cassonetto vicino Via della Fortuna il pomeriggio del 9 marzo intorno alle ore 18:20, cioè quando l’imputato sosteneva di essere a Cisterna. A casa di Patrizio il secchio dell’immondizia fu trovato senza busta. Neanche lo zainetto che aveva sulle spalle Elisa Marafini fu più trovato.

A causa delle prove schiaccianti (le macchie di sangue sui pantaloni e le testimonianze) Marco Canale venne condannato in primo grado di giudizio a 30 anni di reclusione nel dicembre 1998 con risarcimento di 250 milioni di lire alla parte civile, rappresentata dalla famiglia di Elisa Marafini.

La pena venne confermata dalla Corte d’Appello e da quella di Cassazione.