Pesca illegale, Ponza nella lista nera

21/11/2010 di
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La pesca illegale fattura circa 10 miliardi di euro a livello mondiale ed in Italia è fin troppo tollerata. Una pratica che viene svolta con le “spadare” soprattutto da barche ormeggiate in alcuni porti del centrosud che ospitano oltre un terzo della flotta “pirata”.

Ponza, Lipari, Bagnara Calabra, Porticello, Santa Maria la Scala.
Sono questi i principali scali della black list italiana. La denuncia arriva da tre associazioni ambientaliste, Legambiente, Lav e Marevivo che hanno stilato un dossier in occasione della Giornata mondiale della Pesca, che si festeggia oggi. Il documento
si intitola «La pesca Illegale Non documentata e non Regolamentata nell’Unione europea: il caso delle derivanti italiane».

Negli ultimi sei anni sarebbero stati circa 300 i pescherecci italiani sanzionati e segnalati dalle associazioni ambientaliste, ad aver utilizzato le ‘spadarè (messe al bando dalle Nazioni unite e dal 2002 in tutta l’Unione europea) e le ferrettare, spesso utilizzate in modo illegale e in grado di catturare accidentalmente diverse specie protette o a rischio come tartarughe, delfini, squali e balene.

Ma la piaga è particolarmente sentita in Italia, secondo gli ambientalisti, in quanto favorita «dalla mancata applicazione di sanzioni efficaci che non consente di intensificare le misure repressive oltre agli atteggiamenti di tolleranza, talvolta al confine con la compiacenza che spesso si riscontrano da parte delle autorità italiane nei confronti di chi opera al di fuori delle norme», come si spiega nel dossier.

Questa forma di illegalità non si attenua, con un 2010 ancora segnato da gravissimi casi di malapesca e ben 37 pescherecci sanzionati per uso illegale di reti derivanti solo nei primi sei mesi dell’anno. La maggior parte dei pescherecci riportati nella lista nera è stata sanzionata più volte, alcune a distanza di pochi giorni. La sanzione massima prevista è di soli 4.000 euro, la metà o ancor meno per chi patteggia; il sequestro delle reti, spesso non viene confermato dai giudici con conseguente restituzione delle stesse ai proprietari che riprendono a pescare illegalmente.

L’unica misura davvero dissuasiva, contenuta in un Decreto Ministeriale del 1998, prevede la sospensione dell’autorizzazione di pesca dai 3 ai 6 mesi ma non risulta sia mai stata applicata e lo scorso ottobre la Direzione Generale della Pesca del Ministero dell’Agricoltura ne ha addirittura sconsigliato l’applicazione. Nonostante l’Italia sia stata già stata condannata dalla Corte Europea di Giustizia per il lassismo con il quale gestisce l’emergenza delle reti derivanti illegali e la Commissione abbia imposto la restituzione di 7.7 milioni di euro percepiti per la riconversione delle spadare verso altri sistemi di pesca meno distruttivi. Come segnala il dossier, circa 100 pescherecci che usufruirono di questi contributi hanno continuato ad usare le reti illegali.

Per contrastare le violazioni, l’Unione Europea ha approvato un nuovo regolamento sulla Pesca INN entrato in vigore il 1 gennaio 2010. A differenza degli ultimi otto anni esistono oggi strumenti che consentono alla Commissione europea di intervenire sugli Stati membri inadempienti con tempi più rapidi e sicuramente più incisivi delle
procedure di infrazione. In questo senso il Mediterraneo rappresenta dunque un importante banco di prova per la strategia dell’Unione sulla Pesca Inn.

«È necessario, pertanto – concludono le associazioni ambientaliste – che la Commissione Europea applichi all’Italia la sanzioni previste dal Regolamento INN che prevedono la sospensione degli aiuti comunitari destinati alla pesca e l’inserimento in lista nera dei pescherecci pirata». Il dossier segnala che circa 100 pescherecci che usufruiscono dei contributi continuano a usare le reti illegali.