CASO MARRAZZO, CARABINIERE INDAGATO PER LA MORTE DEL PUSHER DI SPERLONGA

25/03/2010 di

C’è una clamorosa svolta nell’inchiesta sulla morte di Gianguerino Cafasso, il pusher di Sperlonga, legato ad ambienti dei trans che fu chiamato in causa dai carabinieri indagati nell’affaire-Marrazzo come colui che avrebbe girato il video dell’ex presidente della Regione in atteggiamenti intimi con un viado.  Un carabiniere è stato infatti iscritto nel registro degli indagati dopo le dichiarazioni di Jennifer, la trans compagnia di Cafasso. Quest’ultima era con il pusher il 12 settembre all’hotel Romulus sulla Salaria, dove Cafasso è morto, e ha indicato il militare ora indagato come colui che fornì la dose letale di eroina.

Si tratta di Nicola Testini, uno dei quattro carabinieri coinvolti nell’inchiesta sul presunto ricatto a Marrazzo. Secondo quanto raccontato dal transessuale ai magistrati della Procura di Roma a portare la droga killer al pusher sarebbe stato proprio uno dei quattro presunti “militari infedeli” coinvolti nella vicenda Marrazzo. A uccidere Cafasso fu una dose letale di eroina, “mascherata” farmacologicamente con una sostanza in modo che la facesse assomigliare alla cocaina.

Il legale di Nicola Testini chiederà nuovi accertamenti medico legali e nuove perizie. E intanto si riaccendono i sospetti sulla morte del trans Brenda, asfissiato in casa da un incendio. «Ho appreso di questa iniziativa della Procura dai giornali oggi – spiega l’avvocato Valerio Spigarelli – la ricostruzione si basa su fatti che non hanno nessun aggancio con la realtà. Prenderemo iniziative in questo senso e chiederemo nuovi accertamenti e perizie». Se la difesa di Testini farà richiesta di nuovi accertamenti medico legali il cadavere del pusher dovrà essere riesumato per una seconda volta.

Nicola Testini, il maresciallo della Compagnia Trionfale indagato, fu arrestato nell’ottobre scorso quando scoppiò il caso Marrazzo. Il gip che confermò la custodia cautelare in carcere, Sante Spinaci, ne sottolineò la pericolosità definendolo «l’organizzatore dell’illecita operazione», ovvero dell’irruzione nell’appartamento di via Gradoli, della confezione di un video che ritraeva Piero Marrazzo e un trans e del tentativo di vendere il video ad alcune testate. Testini andò in carcere assieme ai colleghi Luciano Simeone, Antonio Tamburrino, Carlo Tagliente accusati a vario titolo di estorsione, violazione della privacy e violazione di domicilio ma soprattutto concussione ed estorsione. In sostanza la Procura li ritenne responsabili dell’irruzione nell’appartamento di via Gradoli dove fu trovato Marrazzo in compagnia di un trans, della confezione di un video che ritraeva l’ex governatore col viado e dei successivi tentativi di vendere il video a testate giornalistiche.

Ed è in questa fase di tentata vendita del video che entra in campo il pusher Gianguerino Cafasso, trovato morto in un hotel di Roma nel settembre scorso e che le perizie dell’accusa accerteranno stroncato da un’overdose. Già il gip Sante Spinaci nel motivare la custodia cautelare in carcere di Testini precisò che il maresciallo aveva avuto «un ruolo primario quale organizzatore dell’illecita operazione». Ovvero, scriveva il gip Testini si inserisce «nella vicenda fin dall’inizio, con l’asserita ricezione del video nello stesso momento dei colleghi Simeone e Tagliente, il rapporto diretto privilegiato pluriennale con Cafasso, l’interessamento diretto e pressante nella fase della ricerca degli acquirenti e delle trattative con l’agenzia milanese e il controllo attuato nei confronti di Massimiliano Scarfone», il fotografo che fece da intermediario con il titolare dell’Agenzia Photo Masi di Milano. Testini fu poi rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame che invece tenne in carcere Simeone, Tagliente e Tamburrino.

Sulla morte di Brenda, uno dei trans che ha portato alle dimissioni dell’ex Governatore del Lazio Piero Marrazzo, gli inquirenti, pur non escludendo la disgrazia, da subito hanno cominciato ad indagare sull’ipotesi dell’omicidio. Molti i misteri, il più importante dei quali riguarda il computer del viado, trovato nel lavandino del bagno sotto il rubinetto dell’acqua. C’è poi una testimonianza della zia di Brenda, Edina Cristina Mendes, la quale ha scritto all’avvocato una mail nella quale sostiene di essere stata informata che nell’ appartamento della nipote c’erano dei poliziotti prima che scoppiasse l’incendio.