E A FONDI SOTTO LA SERRA SBOCCIA LA VILLA ABUSIVA
Gli aranci prima, le primizie di serra poi, ne hanno fatto uno dei più importanti mercati ortofrutticoli della penisola. Merito di una piana riparata alle spalle dai monti, del clima, del sudore dei contadini rinforzati qualche decennio fa dall’arrivo di braccianti veneti. La sciatteria urbanistica descritta dall’autore de «Il Circolo Pickwick», però, si è trascinata fin dentro il secolo scorso ed è esplosa tra gli anni Sessanta e i Settanta devastando via via la costa.
Basta leggere la relazione del commissario di governo Angelo Di Caprio che fu mandato a gestire il comune nel 2001. Dove si ricorda come le domande presentate per usufruire prima del condono craxiano dell’85 e poi di quello berlusconiano del ’94, fossero unenormità in proporzione alla popolazione di Fondi: 7.215. Delle quali 5.825 (81%) ancora da esaminare sette anni dopo l’ultima sanatoria. Ma più ancora basta guardare cosa stavano facendo di una basilica romanica sopra le cui volte, prima del provvidenziale intervento giudiziario, avevano cominciato a costruire una «pittoresca» pizzeria. O ancora basta farsi un giretto lungo la spiaggia.
Di qua, la generosa campagna bagnata dal lago di Fondi è coperta dagli scheletri di cemento armato dell’«Isola dei Ciurli», unoscena lottizzazione bloccata dai giudici convinti che non fosse cristallino il modo in cui erano stato concesse tutte le 21 licenze edilizie necessarie, una separatamente dall’altra per non dare nell’occhio. Trucco usato più volte. E in particolare una notte leggendaria in cui l’allora assessore all’urbanistica, un attimo prima di dimettersi, aveva firmato in poche ore 700 «via libera» ai cantieri. Una generosità scriteriata che, insieme con una sfilza di complicità, cecità, errori in buonafede e altri meno, ha permesso la costruzione «quasi in regola" (quasi) di decine di ville platealmente abusive e stabilimenti balneari che, fottendosene della legge regionale che vietava di toccare le dune, non solo le hanno distrutte ma anche violentate e umiliate. Come nel caso dei bagni «Tucano» il cui padrone ha terrazzato le magnifiche onde di sabbia coperte dalla macchia mediterranea per piazzare meglio gli sdrai. Una volgarità da papponi. Fatta sotto gli occhi dei vigili. Denunciata e mai colpita. Offensiva verso la natura quanto le mèches a un leone ingentilito da bigodini.
Per non parlare del muraglione tirato su, ognuno il suo pezzo, dai padroni delle ville costruite a pochi passi dal mare e servite tutte da grandi scalinate che degradano fino in acqua e portano cartelli con scritto: «proprietà privata». Ci credo: è proprietà nostra. Demaniale. Pubblica. Proprietà di tutti gli italiani, derubati da una banda di furboni che adesso pretenderebbe anche qualche intervento pubblico (coi soldi nostri) per erigere una barriera contro il mare che avanza. Mare che, supplendo alla latitanza decennale degli amministratori, si sta facendo carico di metter fifa agli abusivi minacciando d’abbattere i manufatti cementizi. Operazione che non passa neppure per la testa del sindaco, il geometra forzista Luigi Parisella, passato alla storia (minima) italiana per aver dichiarato davanti alle telecamere di Report, testuale, che «il diritto di tutti i cittadini è sacrosanto come sono sacrosanti i diritti di chi ha costruito abusivamente e ha diritto alla sanatoria perché è una legge dello Stato».
La legge, si sa, è legge. E le migliori sono le leggine. Come quella che consentiva fino a qualche tempo fa, a chi aveva almeno 10 mila metri di terra, di tirar su un «fabbricato rurale» di una certa cubatura. Era una misura per i contadini: è finita, stando alle denunce di Luigi Di Biasio, il responsabile locale di Legambiente, con un’alluvione di case che, al posto delle «attrezzature necessarie alla conduzione del fondo agricolo (stalle, rimesse, fienili, silos etc…)» pretese dal piano regolatore, erano piene di salotti e salottini, verande e mansardine.
Belle case, ma mai come quella che si sta costruendo Claudio Fazzone, il poliziotto salito da capo-scorta di Nicola Mancino a presidente forzista del consiglio regionale del Lazio: una villa intestata alla moglie Stefania Peppe e a una sua cugina, Giulia Iodice, di tremila metri cubi. Con due salotti per un totale di 213 metri quadrati. Certo, per arrivare a quella cubatura l’area dietro il paese non bastava. Così hanno sommato «ulteriori appezzamenti di terreno»che stanno sul costone di un monte spelacchiato a cinque o sei chilometri. Povero Fazzone, chissà che fatica andare su e giù col trattore blu…
Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 18 settembre 2003)
Fazzone ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo a Fondi quindi questo articolo non sconvolge assolutamente le menti, direi piuttosto che le agita enormemente. ;D
Domenica 20 Aprile 2008
Una villa sontuosa che, sulla carta, doveva essere un fabbricato rurale. Il giudice unico di Terracina, Antonio Perinelli, ha condannato la moglie e la cugina del senatore di Forza Italia Claudio Fazzone. Sotto accusa i lavori realizzati nella mega villa di 900 metri quadrati costruita ai piedi del Cucuruzzo. Il giudice ha accolto sostanzialmente le richieste del pm Giuseppe Miliano. Condannato anche il tecnico progettista, il geometra Filippo D