Latina finisce nella relazione della DIA: Mafia autoctona dei Di Silvio e rapporti con la politica

18/01/2020 di

La relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia sottolinea la presenza della mafia autoctona a Latina, in relazione al processo Alba Pontina. L’Antimafia cita nella relazione “l’operatività di un’organizzazione criminale autoctona, nei confronti della quale la sentenza del Tribunale di Roma, in data 19 luglio 2019 ha per la prima volta riconosciuto l’aggravante del cosiddetto “metodo mafioso”.

L’aggravante – si legge nella relazione della DIA  – venne contestata con le operazioni “Alba Pontina” e “Alba Pontina 2”, rispettivamente del 12 giugno e del 5 novembre 2018, quando vennero arrestati i 34 componenti di una consorteria legata ad un ramo della famiglia di sinti stanziali dei Di Silvio, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, violenza privata, favoreggiamento, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e reati elettorali, tutti aggravati dalle modalità mafiose.

Nel documento si fa riferimento all’esistenza di “un’associazione mafiosa autoctona, non legata agli storici sodalizi criminali siciliani, calabresi o campani. A seguito dell’arresto, un esponente di rilevo del clan ha inoltre deciso (segnando un altro primato nella storia della criminalità pontina) di collaborare, rilasciando una serie di dichiarazioni che hanno consentito di ricostruire ulteriormente l’organigramma e le numerose attività illecite dell’agguerrito sodalizio criminale”.

Il riferimento è al pentito Renato Pugliese al quale si è poi aggiunto Agostino Riccardo, le cui dichiarazioni hanno consentito di ricostruire numerosi episodi inediti sui quali sono concentrate le indagini.

La sentenza citata dalla DIA è invece quella emessa dal giudice Annalisa Marzano che, in 280 pagine, spiega perché i Di Silvio rappresentano la mafia a Latina. «Questa è la storia di Latina degli ultimi venti anni» scrive il giudice paragonando il clan alle «organizzazioni mafiose tradizionali»: è dotata di autonoma forza di intimidazione scaturente dal vincolo associativo.

Il giudice Annalisa Marzano analizza gli orientamenti e le interpretazioni in merito alla definizione di metodo mafioso riferito a un’associazione per delinquere. Dopo una specifica analisi delle sentenze degli ultimi anni e dell’evoluzione sociologica del concetto di mafia, indica come discriminante «il nesso causale tra la forza intimidatrice e la condizione di omertà e assoggettamento» nell’ambiente in cui il gruppo criminale domina. Da questo punto di vista il clan Di Silvio è mafia.

Le caratteristiche indicate dal giudice portano a questa conclusione: «sono stati acquisiti numerosi indicatori fattuali quali l’ampiezza e l’indeterminatezza del programma criminale; la varietà e molteplicità dei reati contestati tutti in prevalenza connotati da violenza; la rigorosa organizzazione gerarchica interna e il rispetto riservato al capo del clan; la stabile incidenza egemonica in un determinato ambito geografico e la conflittualità con altri gruppi locali; l’uso e la disponibilità costante di armi (…)». «Tutti questi aspetti – scrive il giudice – se osservati in modo unitario e non parcellizzato, sono espressione di un potere coercitivo e di soggezione dell’associazione consolidatosi nel tempo». E aggiunge: «Tutte le fasce sociali, indistintamente, erano sottomesse alla forza prevaricatrice e intimidatoria della nota famiglia rom: cittadini comuni, piccoli imprenditori, professionisti (commercialisti e avvocati) financo gli stessi criminali comuni dovevano piegarsi alle regole criminali dettate dai Di Silvio».

VOTI COMPRATI. La Dia cita anche il caso della compravendita dei voti: “Esponenti del clan DI SILVIO inducevano numerosi tossicodipendenti ad esprimere la propria preferenza in favore di alcuni candidati, ricevendo in cambio un compenso in denaro. E’ emerso, dunque, il quadro di una consistente influenza criminale dei DI SILVIO sulle attività elettorali che, talvolta imponendo i propri servizi ed in altri casi organizzando un vero e proprio mercato di consensi, condizionavano le preferenze degli elettori residenti nelle zone della città soggette al loro controllo criminale”.


 

LA RELAZIONE DELLA DIA – PROVINCIA DI LATINA

Al pari della provincia di Roma, anche l’area pontina si caratterizza per la compresenza di vari tipi di organizzazioni criminali, siano esse locali o proiezioni di quelle mafiose tradizionali (‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra). Una convivenza funzionale alla realizzazione degli affari illeciti. Emblematico, in tal senso, quanto esposto nella Relazione del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019, nella quale è riportato che “…il territorio
del basso Lazio è stato oggetto di una espansione via via sempre più profonda e ramificata non soltanto ad opera di clan camorristici e del corrispondente insediamento dei relativi esponenti, ma anche di cosche di ‘ndrangheta, la cui presenza si è con il tempo estesa e strutturata, fino a determinare la compresenza su quel territorio di un coacervo di gruppi, la cui attività, fortemente caratterizzata dal metodo mafioso, ne ha segnato profondamente il tessuto economico-sociale ed anche politico.
… Si tratta, in altri termini, di nuclei criminali che, rafforzatisi e strutturatisi nel tempo, hanno finito per dare luogo a vere e proprie associazioni mafiose autoctone”.
Il Sud Pontino è infatti caratterizzato da presenze di personaggi legati a vari gruppi criminali, quali ad esempio esponenti delle ‘ndrine calabresi dei BELLOCCO, dei TRIPODO, degli ALVARO e dei LA ROSA-GARRUZZO.

Una conferma dell’attualità del coinvolgimento di soggetti di matrice calabrese nei traffici di stupefacenti condotti sul territorio pontino viene, nel semestre, precisamente nel mese di maggio, dall’operazione “Selfie”, già citata con riferimento a Roma.

Sono inoltre attivi sul medesimo territorio anche elementi dei clan camorristici facenti capo ai CASALESI, ai BIDOGNETTI, ai BARDELLINO, ai MOCCIA, ai MALLARDO, ai GIULIANO, ai LICCIARDI, ai SENESE ed agli ZAZZA. È innegabile come tale composita presenza sia stata incentivata dalle potenzialità affaristiche offerte dal contesto
socio-economico. Ad esempio il Mercato Ortofrutticolo di Fondi (M.O.F.) rappresenta, a livello nazionale, un importante polo del settore logistico-alimentare, nel quale le organizzazioni criminali si sono più volte inserite per incrementare i propri affari illeciti.

La collocazione di Latina, inoltre, costituisce uno snodo per i collegamenti tra le province di Roma, Napoli e Caserta. Non a caso, appartenenti alla camorra hanno preferito spostarsi nell’area pontina, continuando così a gestire le attività illecite sui limitrofi territori di origine. Per i sodalizi campani, vista la contiguità geografica, l’area costituisce inoltre la naturale “cassa d’espansione” dei propri interessi illeciti, nonché per il riciclaggio ed il reimpiego dei capitali nei settori dell’edilizia e del commercio, ove le risorse risultano investite soprattutto nel circuito agroalimentare e della ristorazione, nonché nell’acquisizione e nella gestione delle sale da gioco.

Per completare la descrizione del contesto delinquenziale si evidenzia anche il diffuso fenomeno degli incendi dolosi, verosimile testimonianza del tentativo dei sodalizi criminali di imporre il controllo sulle attività economiche locali. Nella provincia si confermano, inoltre, le illecite attività delle famiglie di sinti stanziali dei DI SILVIO e CASAMONICA, che recenti sentenze hanno ricondotto nei canoni dell’azione mafiosa.

SENTENZA ALBA PONTINA. Il semestre in esame si è infatti principalmente caratterizzato, per la città di Latina, per l’operatività di un’organizzazione criminale autoctona, nei confronti della quale la sentenza del Tribunale di Roma, in data 19 luglio 2019 ha per la prima volta riconosciuto l’aggravante del cosiddetto “metodo mafioso”. L’aggravante venne contestata con le operazioni “Alba Pontina” e “Alba Pontina 2”, rispettivamente del 12 giugno e del 5 novembre 2018, quando vennero arrestati i 34 componenti di una consorteria legata ad un ramo della famiglia di sinti stanziali dei DI SILVIO, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, violenza privata, favoreggiamento, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e reati elettorali, tutti aggravati dalle modalità mafiose.

L’investigazione ed il successivo sviluppo giudiziario hanno consentito di riconoscere, pertanto, l’esistenza di un’associazione mafiosa autoctona, non legata agli storici sodalizi criminali siciliani, calabresi o campani. A seguito dell’arresto, un esponente di rilevo del clan ha inoltre deciso (segnando un altro primato nella storia della criminalità pontina) di collaborare, rilasciando una serie di dichiarazioni che hanno consentito di ricostruire ulteriormente l’organigramma e le numerose
attività illecite dell’agguerrito sodalizio criminale.

Più nel dettaglio, le evidenze giudiziarie hanno disvelato come tale clan, insediatosi nella provincia in parola dagli anni ’50, sia riuscito ad imporsi sul territorio
operando un controllo del territorio assimilabile a quello praticato nei territori di origine dalle cosiddette “mafie tradizionali”986: estorsioni nei confronti di commercianti, imprenditori, professionisti e politici, sulla base di una violenza e di un potere intimidatorio da tutti riconosciuto.

Le citate operazioni “Alba Pontina” hanno inoltre accertato come il clan DI SILVIO abbia dimostrato interesse e capacità nel “gestire” le campagne elettorali di diversi candidati alle consultazioni amministrative del 2016 per i comuni di Latina e Terracina, direttamente o per il tramite di affiliati. Alcuni membri del clan, infatti, gestivano
la propaganda elettorale in favore di alcuni candidati, provvedendo – dietro compenso – all’affissione dei manifesti elettorali ed imponendosi, grazie alla propria caratura criminale, sulla scelta di luoghi che garantissero, per posizione ed affluenza di pubblico, maggiore visibilità ai candidati “sponsorizzati”.

Le indagini hanno, in aggiunta, disvelato la compravendita di voti: esponenti del clan DI SILVIO inducevano numerosi tossicodipendenti ad esprimere la propria preferenza in favore di alcuni candidati, ricevendo in cambio un compenso in danaro. E’ emerso, dunque, il quadro di una consistente influenza criminale dei DI SILVIO sulle attività elettorali che, talvolta imponendo i propri servizi ed in altri casi organizzando un vero e proprio mercato di consensi, condizionavano le preferenze degli elettori residenti nelle zone della città soggette al loro controllo criminale.

Nel semestre in esame non sono poi mancati provvedimenti volti a colpire le mafie o comunque gruppi criminali organizzati nelle loro “manifestazioni economiche”. Come noto, è infatti ormai accertato il forte interessamento delle consorterie criminali all’infiltrazione degli ambienti economico-finanziari, in questo talvolta agevolate dalla
presenza, al soldo dei clan, di veri e propri professionisti in grado di consentire alla criminalità organizzata “di fare impresa”.

Ovviamente, anche nel settore politico e amministrativo emerge talvolta un modello consolidato, che vede insospettabili figure imprenditoriali, impegnate soprattutto nei settori dell’edilizia, del commercio e dello smaltimento dei rifiuti, stabilire rapporti collusivi-corruttivi per agevolare il rilascio di concessioni edilizie ovvero per ottenere l’aggiudicazione di appalti e servizi. In proposito, il 3 gennaio 2019, nell’ambito dell’operazione “Cleaning” è stato eseguito dalla Guardia di finanza un decreto di confisca, emesso dal Tribunale di Latina, nei confronti di un noto pregiudicato, al vertice della ‘ndrina TRIPODO, da anni residente nel territorio pontino, dove si era posto a capo di un sodalizio di tipo mafioso. Il gruppo aveva gestito e controllato illecitamente attività economiche e commerciali, condizionando il rilascio di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici. Il provvedimento ha interessato il patrimonio aziendale, le quote societarie ed i beni di società operanti nei settori delle pulizie e del trasporto merci per conto terzi, immobili residenziali e commerciali, terreni e automezzi, per un valore complessivo stimato in circa 2,8 milioni di euro.

Altro settore d’interesse è quello dei rifiuti. Il 13 giugno 2019, nell’ambito dell’operazione “Smoking Fields”, è stata eseguita dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri Forestali l’ordinanza, emessa dal GIP di Roma, nei confronti di 23 indagati, per i reati di concorso in traffico illecito di rifiuti, falso ideologico in atto pubblico nella predisposizione di certificati di analisi, abbandono di rifiuti, costituzione di discarica abusiva ed intralcio all’attività di vigilanza e controllo ambientale. In particolare, sono state sequestrate aziende operanti nel campo della gestione di rifiuti ed una discarica di proprietà di una società di Roma. L’operazione è stata denominata “Smoking’ Fields” (campi fumanti), proprio per la circostanza che i terreni sui quali veniva effettuato lo spandimento del falso compost “fumavano”, segno evidente di
una mancata maturazione del materiale organico di risulta, che continuava a fermentare nel corso dello stoccaggio, contravvenendo in tal modo ai più elementari principi di rispetto dell’ambiente, a cui si sarebbero dovuti attenere i responsabili degli impianti sequestrati.

Proseguendo nella descrizione dei fatti che hanno interessato il territorio si segnala che a Formia, il 1 giugno 2019, sono stati eseguiti gli ordini di esecuzione per la carcerazione, emessi dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma, esecutivi della sentenza di condanna resa definitiva dalla Corte Cassazione, in relazione alle indagini al tempo condotte con l’operazione “Formia Connection”. Sono così stati arrestati 4 soggetti, di cui uno ritenuto esponente di spicco del clan dei CASALESI, colpevoli di numerose estorsioni, minacce e aggressioni nei confronti del responsabile di una cooperativa che all’epoca svolgeva opere di manutenzione appaltate dal Comune di Formia e che era stato costretto a versare parte dei compensi ricevuti all’organizzazione criminale.

Anche ad Aprilia sono state registrate, in passato, presenze mafiose. Per quanto nel semestre non siano emerse evidenze significative, investigazioni più risalenti hanno confermato come il territorio costituisca un importante crocevia dei traffici di stupefacenti. Sono state segnalate presenze di esponenti delle ‘ndrine dei GALLACE, degli
ALVARO di Sinopoli (RC) e CANGEMI e di soggetti campani vicini ai CASALESI.