IL DISCORSO DEL VESCOVO GIUSEPPE PETROCCHI

01/01/2008 di
Discorso pronunciato dal Vescovo, Mons. Giuseppe Petrocchi,
ai Politici, agli Amministratori Pubblici e ai Rappresentanti delle Parti Sociali
in occasione della Giornata Mondiale della Pace. Latina, Cattedrale S. Marco, 1° gennaio 2008.

 
"Carissimi Amici che, a vario titolo, vi impegnate a servizio della comunità civile: a voi rivolgo un fraterno saluto, a nome dell’intera Chiesa pontina.
Anche quest’anno la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace ci vede riuniti, in comunione con il Santo Padre, per riflettere sul tema del vostro impegno nella vita sociale e nella pubblica amministrazione. Missione, questa, che postula generosità fattiva e competenza tenace: a tutti, ma in primo luogo a quanti si riconoscono nei valori del Vangelo, la dedizione al bene comune chiede il coraggio di uscire dalla ricerca del tornaconto personale (racchiuso nel circolo ristretto del “per me”) o del vantaggio di gruppo (contrassegnato dal perimetro più ampio del “per noi”), per operare nell’interesse generale (siglato dalla logica universale del “per tutti”). È noto, infatti, che «il cristiano che fa politica – e vuole farla “da cristiano” – deve agire con disinteresse, cercando non l’utilità propria, né del proprio gruppo o partito, ma il bene di tutti e di ciascuno, e quindi, in primo luogo, di coloro che nella società sono i più svantaggiati. Nella lotta per l’esistenza che talvolta assume forme spietate e crudeli, non sono pochi i “vinti” che vengono messi inesorabilmente da parte»1.
<TB>Appare evidente, pertanto, che deve essere la giustizia sociale ad occupare il primo posto nella scala delle urgenze per le quali siete chiamati a spendervi: giustizia che, essendo mirata a creare tra i cittadini condizioni di uguaglianza nelle opportunità, non può che puntare, anzitutto, a «favorire quelli che per condizione sociale, per cultura, per salute rischiano di restare indietro o di essere sempre agli ultimi posti nella società, senza possibilità di personale riscatto»2. Ciò vi chiede, di conseguenza, una attenzione particolarmente sensibile alle sacche di povertà: sia a quelle palesi, visibili ad occhio nudo, come a quelle occultate, ma non meno umilianti e dannose. Per questo, nessun uomo che faccia autenticamente politica può vivere tranquillo fino a quando è a conoscenza che gli vivono accanto persone alle quali mancano le condizioni elementari per condurre una esistenza veramente degna dell’uomo (cfr. GS, n. 26).
Dicono gli studiosi che il nostro territorio, dal punto di vista geologico, è poco soggetto a fenomeni sismici: a me sembra, invece, che nella vita civica, politica ed economica si registrino frequenti ed intensi bradisismi. Né può essere diversamente, dal momento che la “molteplice stratificazione” etnica e culturale della popolazione pontina – di recente composizione – non ha conseguito ancora assestamenti sociali integrati, né maturato condivise compattezze culturali. Le “molte anime” della nostra gente (lepina, veneta, friulana, campana…) non si sono ancora saldate in un’“anima sola” (cfr. At 4,32). Pertanto, il nostro è un popolo ancora in gestazione: spero vivamente che la storia, sulle corte distanze, partorisca la “Gens pontina”, come moltitudine resa “una” dalla consapevolezza di appartenere alla stessa “Civitas” e di condividere la medesima sorte.
Se qualcuno mi chiedesse di indicare le qualità positive più pronunciate e le carenze più emergenti della nostra popolazione, indicherei anzitutto tre grandi pregi: al primo posto collocherei la straordinaria abbondanza di risorse umane (tra cui risaltano la “genialità”, lo spirito di iniziativa, la cordialità…); poi fisserei in seconda posizione la originalità e la strutturale apertura della sua storia – anche demografica – che le spalancano orizzonti inediti e densi di buone promesse; e, in terza , la sua proiezione verso il futuro, favorito da un territorio fertile, ricco di bellezze naturali, climaticamente felice, geograficamente disteso su un’area-cerniera di grande importanza, sul piano regionale e nazionale. Ma denuncerei anche tre difetti, che mi appaiono altrettanto marcati: un accentuato individualismo, la difficoltà ad elaborare un pensiero comune e azioni concordi, una forte tendenza alla dispersione e alla conflittività. In sintesi: il nostro ”ecosistema sociale” appare diversificato e dotato di energie “pluriverse”, ma ancora poco collegato e scarsamente armonizzato.
Ecco perché negli annali della nostra zona, insieme alle potenzialità intercettate e alle occasione valorizzate, compaiono anche i capitoli tristi delle opportunità perse e delle speranze deluse. Leggendo, con sano spirito critico, le cronache locali, non è infrequente imbattersi nel caso di felici ipotesi progettuali, ben lanciate verso orbite alte, che, nella successione degli eventi, fanno registrare un progressiva caduta di prospettive, fino alla constatazione amara dello schianto finale. Così, nel dinamismo delle alternative che si giocano sui tavoli di concertazione, si parte – non raramente – dalla prospettiva incoraggiante della “sommatoria delle opportunità”, condensata nella formula: “e” questo, “e” quello; per poi passare alla ipotesi della “opzione disgiuntiva”, sintetizzata nella formula: “o” questo, “o” quello; per scivolare, infine, nella “disconferma bruciante”, espressa nella formula “né” questo, “né” quello.
Va detto, tuttavia – non come scusante ma come categoria interpretativa -, che, su un terreno sociale ancora instabile e soggetto a movimenti bruschi e imprevedibili come il nostro, per chiunque è difficile elaborare e costruire iniziative di grande portata, che chiedono il supporto di un consenso largo e la disponibilità di energie sicure.
Bisogna aggiungere, inoltre, che, con progressiva frequenza, sullo scenario politico ed economico pontino, compaiono forti segnali di una crescente tensione a trovare – al di là delle diversità ideologiche e delle divergenze partitiche – spazi di confronto e di coesione per tessere intese di notevole ampiezza. Considero, in questo senso, un attestato di autentica “fierezza pontina” la vasta mobilitazione di forze sindacali e politiche, anche antagoniste, che ultimamente si sono coalizzate – in una concorde “proposta” e in una corale “protesta” – per esprimere, su questioni ritenute di grande rilevanza per la nostra provincia, un fronte comune e una voce unanime.
Sulla base di questi segnali mi sembra lecito sognare una comunità civile sempre meno incline alla semplice delega e più attivamente protagonista del proprio destino: perciò, meglio informata, più motivata e maggiormente coinvolta nelle questioni che-riguardano-tutti. Per creare questa larga piattaforma partecipativa non bastano operazioni di ingegneria politica, ma occorrono una formazione culturale permanente e una collaudata abilità nel catalizzare convergenze prospettiche, sia al vertice che nella base sociale: infatti, bisogna crescere nella fattiva consapevolezza che tutti sono responsabili di tutto (cfr. SRS n. 38).
Ciò richiede, da parte delle classe dirigente, a qualunque formazione partitica appartenga, la promozione di una costante e corretta comunicazione, che consenta alle persone di capire “da” dove l’azione politica prende le mosse, “verso” quale meta si dirige e “in” quale punto attualmente si trova. La “buona comunicazione”, quindi, sta nel far conoscere, in modo comprensibile, il “perché”, il “come” e il “quando” dei progetti e delle decisioni messe in campo. Se qualcuno di questi parametri di obiettività espositiva viene a mancare, l’intero discorso rischia di oscurarsi e di scadere nella retorica tendenziosa. Affermava Euripide: «le parole veritiere sono sempre semplici, né hanno bisogno dell’astuta ambiguità di interpreti: sono chiare per se stesse. Invece il discorso ingiusto, essendo per propria natura un discorso malato, richiede raffinate medicine» (Le Fenicie).
Pertanto, ogni incremento nella partecipazione della gente alla gestione della “cosa pubblica” va salutata con gioia, anche se – va precisato – non ogni forma di coinvolgimento costituisce di per sé prova di crescita nella maturità politica e culturale. In questo senso permettetemi di confidarvi che nelle ultime tornate elettorali, davanti al proliferare abnorme di liste e di candidature effimere, ho avuto l’impressione di una sorta di “corrida politica”, contrassegnata da una diffusa improvvisazione. Mi è sembrato, infatti, che non pochi approdassero all’agone politico senza alcuna preparazione: né prossima, né remota. Alcune soggettività, poi, si sono rivelate “meteore elettorali”, non dando alcun segno di continuità nella militanza politica. Per cui mi veniva spontaneo domandarmi quali fossero le “motivazioni trainanti” e le “strategie sottese” che spiegavano quegli ingaggi a tempo determinato. Se l’allargamento del raggio partecipativo, dunque, non può che essere salutato con viva soddisfazione, un “debutto politico” repentino, senza un tirocinio adeguato e circoscritto alla semplice tornata elettorale, non può che sollevare motivati dubbi e suscitare qualche ragionata inquietudine.
Ogni riflessione politica, inoltre, se guidata da una autentica razionalità ideativa e autocritica, sa ricavare lezioni di vita dai successi ottenuti come dagli sbagli registrati. Umiltà e saggezza come è noto – sono virtù gemelle: esse costituiscono una benedizione anche nella vita istituzionale e amministrativa. Sapete bene che è obbligo morale dei politici gettare con avvedutezza nel presente le basi di un prospero futuro.
Ed è su questa volontà di meditazione a largo raggio che si innesta il tema della famiglia, argomento centrale del Messaggio proposto da Benedetto XVI in occasione della Giornata Mondiale della Pace.
Si tratta – ne sono certo – di riflessioni destinate a risuonare con forza nel cuore personale e collettivo della popolazione pontina. La nostra gente, infatti, è profondamente cosciente che la famiglia costituisce il solido arco di volta su cui poggia la sua storia. E’ grazie alla famiglia, infatti, che è stato possibile costruire il benessere di questa terra e vincere le sfide – spesso drammatiche – che ne hanno segnato l’esistenza. E’ attraverso la intelaiatura portante e dinamica della famiglia che la nostra società può svolgere con successo la sua missione culturale, civica, educativa, economica. Ed è con il sostegno della famiglia che diventa possibile slanciarsi produttivamente verso il futuro. Senza la luce e il calore della famiglia l’avvenire andrebbe incontro ad una terribile eclissi etica e sociale, e su tutto calerebbe inesorabile la notte di ogni speranza.
«La famiglia naturale – scrive Benedetto XVI – quale intima comunione di vita e d’amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, costituisce “il luogo primario dell’umanizzazione della persona e della società”, la “culla della vita e dell’amore”. A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la prima società naturale»3. In quanto paradigma fontale di una ordinata e costruttiva convivenza civile4, essa rappresenta anche la principale ed insostituibile “agenzia” di pace5. «In effetti – continua il Santo Padre -, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo»6. È in famiglia che si apprende il lessico della pace e si impara ad agire secondo la grammatica relazionale della solidarietà7. È attraverso la famiglia che si plasma il volto di un popolo. Perciò, «ogni volta che vengono a mancare queste esperienze fondanti, è l’insieme della società che soffre violenza e diventa, a sua volta, generatrice di molteplici violenze»8
La famiglia, avendo il dovere di educare i suoi membri, è anche titolare di specifici diritti: deve, quindi, essere protetta dalla società e dallo Stato9. Sulla base di queste considerazioni, occorre sostenere con grande decisione una lungimirante “politica per la famiglia”, sia a livello nazionale, che locale. Essa, infatti, è tutelata e promossa nella misura in cui vengono assicurati e migliorati i servizi sociali fondamentali: «la famiglia ha bisogno della casa, del lavoro o del giusto riconoscimento dell’attività domestica dei genitori, della scuola per i figli, dell’assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un’essenziale risorsa a servizio della pace»10.
E’ anche compito delle istituzioni favorire, nelle famiglie, lo sviluppo del patrimonio trascendente di valori umani (condizione basilare per l’autentica vita di relazione tra i suoi membri), così come aiutare la costituzione del necessario patrimonio economico familiare – «frutto del lavoro di alcuni, del risparmio di altri e della attiva collaborazione di tutti»11-, essenziale per la conduzione di una esistenza dignitosa e provvista delle opportunità richieste per garantire lo sviluppo integrale di ogni persona e di tutta la persona.
In particolare, permettetemi di evidenziare alcune linee di intervento che rispondono ad istanze emergenti, avvertite anche nel nostro territorio:
Porre ogni sollecitudine per sostenere e sviluppare una costruttiva “politica del lavoro”, che, essendo un bene primario, deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. «La “piena occupazione” è, pertanto, un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientato alla giustizia e al bene comune. Una società in cui il diritto al lavoro sia vanificato o sistematicamente negato e in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale»12. Si capisce perché la Chiesa, esperta di umanità, additi la disoccupazione, il precariato cronico e l’insufficiente salario come una «vera calamità sociale»13. E questo è un dramma che colpisce, con particolare virulenza, i giovani, le donne, i lavoratori meno specializzati, i disabili, gli immigrati, gli ex-carcerati, gli analfabeti: tutti i soggetti che trovano maggiori difficoltà nella ricerca di una collocazione nel mondo produttivo14.
Affrontare, con maggiore determinazione – nella legislazione, come anche nella mentalità dei datori di lavoro – la questione del lavoro femminile, per trovare forme di organizzazione idonee a coniugare l’impegno professionale della donna con la sua essenziale vocazione alla maternità15. «Il problema non è solo giuridico, economico ed organizzativo; è innanzitutto un problema di mentalità, di cultura e di rispetto»16.
Andare fattivamente incontro alla domanda abitativa, attraverso una intelligente e vigorosa “politica della casa”, assicurata anche da una adeguata pianificazione e cantierizzazione dell’edilizia popolare.
Moltiplicare i nidi d’infanzia e le scuole materne, «collocate anche presso i luoghi di lavoro e i grandi condomini, valorizzando e facilitando tra l’altro l’iniziativa e la solidarietà interfamiliari»17.
Tutelare il riposo festivo, che – è bene ricordarlo vigorosamente – costituisce un diritto non solo religioso ma anche civile, poiché i membri della famiglia hanno bisogno di trovare un tempo libero sufficiente, e regolarmente cadenzato, per curare i loro rapporti interpersonali e gestire le vicende che li riguardano. Ricordo, a questo proposito, che «le autorità pubbliche hanno il dovere di vigilare affinché ai cittadini non sia sottratto, per motivi di produttività economica, un tempo destinato al riposo e al culto divino. I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti»18.
Curare, con un amore preventivo e pedagogicamente ben equipaggiato, l’universo-giovani, polarizzando l’attenzione sul mondo-adolescenti, attraversato da un malessere strisciante e molto insidioso. Questa premura educativa si concretizza, tra l’altro, dotando il sistema scolastico di strutture efficienti e fornendo luoghi di aggregazione (culturali, sportivi, ricreativi, artistici…), che consentano alle nuove generazioni di vivere esperienze di incontro costruttivo e di interazione creativa, come occasioni condivise di crescita spirituale e di formazione comunitaria.
Avere uno speciale sguardo rivolto alle problematiche degli anziani. Sono loro i custodi delle buone tradizioni, epocali e locali. A loro va assegnato non solo il ruolo di conservare e testimoniare la “memoria collettiva pontina”, ma va riconosciuto il contributo decisivo – anche se non pubblicizzato – che hanno dato e continuano a dare alla vita delle nuove famiglie. Chi non sa che tanti di loro si prendono cura dei nipotini durante il tempo in cui i genitori sono impegnati nel lavoro? Chi potrebbe quantizzare il sostegno economico che, con discrezione, forniscono alle famiglie per far quadrare bilanci incerti? Come ricompensarli per le sagge mediazioni che, in situazioni di attrito, permettono di risanare conflitti e rinsaldare gli affetti? Il grazie che si meritano a pieno titolo è doveroso che lo sentano arrivare con cordiale intensità: in parole e in gesti di prossimità riconoscente.
Carissimi amici, è un compito arduo, quello al quale, quotidianamente, dovete sottoporvi. Ma l’azione pro-sociale che siete chiamati a svolgere costituisce una delle forme più nobili di altruismo e di servizio alla Città dell’uomo.
La Comunità cristiana apprezza l’opera che realizzate e vi è vicina. Infatti, proprio perché tende con tutte le sue forze a costruire la famiglia dei figli di Dio, ben congiunta e ordinata dal comandamento nuovo della carità, la Chiesa pontina sa di poter «contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia» (GS n. 40). Per questo «non può cessare di essere e di sentirsi realmente ed intimamente solidale con questa società», impegnandosi a realizzarne le speranze «insieme con ogni uomo retto e giusto. In atteggiamento di servizio, perciò, essa si propone di promuovere fiducia, di mantenere aperto il dialogo con tutti, con la sola predilezione a cui la obbliga il Vangelo, quella per i più poveri e i più deboli»19.
Con queste disposizioni d’anima, auspico che la nostra terra diventi sempre più la Casa accogliente di una sola grande Famiglia: quella della Gente pontina, ricca della sua varietà, ma anche custode sagace della sua unità.
Con tale desiderio nel cuore, auguro vivamente che il Signore faccia brillare, su di voi e su tutti, il Suo volto paterno (cfr. Nm 6,25) e benedica, con grazia abbondante, ogni volontà di verità e di bene, capace di generare comunione fraterna e un mondo di pace".
 
Giuseppe Petrocchi
Vescovo
  1. Non me ne voglia Mons Petrocchi, ma, da qualche anno a questa parte, le sue sono le uniche parole di buon senso che si sentono pronunciare sulla scena pubblica. Una continua, incessante ed accorata denuncia dei “mali” di questa nostra Provincia e di come ci siano “non risposte” da parte della classe politica locale. Ammesso che ne abbiamo una!
    Vai Mons Petrocchi ! :)