Renzi: Dal Pd non caccio nessuno, il fronte del No vuole dare una spallata

«Buoni, buoni, noi non cacciamo nessuno». Matteo Renzi interviene a sedare l’urlo «Cacciali tutti» che si leva dalla platea di un cinema di Frosinone. Ma le sue parole devono giungere fuori, a placare uno scontro che dilania il Pd da 24 ore, dopo il «fuori, fuori» urlato dai partecipanti alla Leopolda a Bersani e gli altri della minoranza Dem per il No. Il premier non è tenero con quella «parte dei dirigenti del passato che pensa solo alle poltrone», ma non accetta di passare per epuratore. Soprattutto mentre è impegnato in una battaglia guidata «dall’odio» dal composito fronte del No, da D’Alema a Brunetta, da Berlusconi a Grillo, che punta a «tornare» dando «la spallata al governo».
Mai, però, nello scontro interno al Pd la scissione era sembrata scenario tanto realistico. La minoranza è sugli scudi e Pier Luigi Bersani – in un momento di amarezza, spiegano i suoi – arriva a non escludere niente: «Io dico ‘dentro, dentrò ma se il segretario dice ‘fuori, fuorì bisognerà anche rassegnarsi ad un certo punto». Poi precisa: «Un pezzo dei nostri è già fuori, io provo a tenerli dentro ma per cacciarmi dal Pd devono chiamare l’esercito». I vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani replicano con durezza: «Non stravolga la realtà» perché Renzi lavora «all’unità» mentre con il suo No Bersani crea «sconcerto» tra gli elettori. Se lo scontro prosegue così, avverte tutti Cesare Damiano, il Pd «ha i mesi contati». Verso l’ora di pranzo è il braccio destro del premier a provare a placare gli animi. Le polemiche sulle urla di «qualcuno isolato dalla platea» della Leopolda, spiega Luca Lotti, sono «strumentali»: l’accordo sull’Italicum con Gianni Cuperlo mostra che «lavoriamo per l’unità». «Poi – aggiunge – se qualcuno vuole fare oggi al Pd ciò che D’Alema e Bertinotti fecero all’Ulivo se ne assumerà la responsabilità».
Ma Bersani e i suoi ribaltano l’accusa: il documento sull’Italicum, sostiene Roberto Speranza, è un «pezzo di carta» che equivale allo «stai sereno» di Renzi a Letta, ma dal Pd ci cacciano «con le cannonate». Bersani è in tour in Sicilia e non nasconde l’ira: «Preoccupa l’incrocio gravissimo tra referendum e Italicum», attacca. E intanto il Pd «pigliatutto» cammina su due gambe: «Arroganza e sudditanza», mentre serve un grande «Ulivo». Mettere la minoranza fuori dalle liste sarebbe «miseria umana» e intanto si finge di non vedere che ieri il Pd ha «perso a Monfalcone»: «Renzi ha diviso il Paese e la sinistra». Anche Gianni Cuperlo avverte Renzi:«Se il filo si spezza è colpa sua». Il presidente del Consiglio lascia che siano i suoi a ‘smontarè le accuse degli avversari interni e non entra in polemica. Ma lancia messaggi precisi: «La maggioranza della sinistra sta con me», dichiara.
Non cita la minoranza interna né a Frosinone, né a Latina, dove lo attendono per la campagna referendaria due platee gremite. Ma lancia una stoccata alla classe dirigente del passato che «pensava alle poltrone mentre noi pensiamo ai nostri figli». Batte su quel tasto senza sosta, Renzi: da un lato quelli che vengono chiamati «bamboccioni» ma stanno «provando a cambiare l’Italia», dall’altro il fronte del No che non è d’accordo «su niente» ma vuole fare una «grande cosa tutti insieme» dopo il 4 dicembre. Se non vince il Sì a marzo del prossimo anno, quando l’Ue si riunirà a Roma per l’anniversario dei trattati, potrebbe esserci un governo non abbastanza «forte e solido» per portare avanti la battaglia per la crescita e i migranti. Il 95% degli italiani, spiega Renzi, è «d’accordo nel merito» ma un terzo ancora non sa che si vota.
Quindi l’invito del premier, che domani sarà in quattro diverse Regioni, è a fare un «tam tam» battente per spiegare argomenti «strambi» come il bicameralismo paritario. Dall’altra parte ci sono, accusa Berlusconi e Magistratura democratica («Gli ho fatto far pace io, meglio di Maria De Filippi»), ci sono D’Alema e De Mita («In 35 anni non hanno fatto niente»), ci sono Casapound e i Cinque stelle (Di Maio «sputa sulla bandiera» parlando di dittatura e la Raggi vede «complotti» anche sui frigoriferi). Il tentativo di tutti è la «spallata al governo». La minoranza del Pd, accusano i dirigenti Dem, rischia di dar loro una mano.
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