Clan Di Silvio, cinque persone condannate a morte

24/10/2010 di
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di MARCO CUSUMANO *

C’è una lista di cinque persone condannate a morte dal clan Di Silvio. Dalle intercettazioni ambientali emerge un quadro inquietante ampiamente analizzato nelle 161 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice Tiziana Coccoluto.

Le persone da uccidere – Nel mirino del clan c’erano due sovrintendenti di polizia penitenziaria; Maurizio Santucci e Mario Nardone, (considerati appartenenti al gruppo antagonista nemico dei Di Silvio) e Christian Liuzzi, detto Nino, considerato legato a Nardone, il leader del gruppo rivale. I due agenti erano già finiti nel mirino del clan nel mese di agosto, mentre gli altri delitti sarebbero stati in fase di organizzazione in un secondo momento. A sostenere tali accuse ci sono le dichiarazioni registrate nella sala colloqui del carcere di Latina, ma non solo, dove sono detenuti alcuni membri di spicco del clan.

Le armi – Ci sono poi le armi sequestrate in luoghi e momenti diversi, l’ultimo sequestro è avvenuto il 29 settembre in un terreno nei pressi delle abitazioni di Costantino e Romolo Di Silvio. Non c’è la certezza dell’uso che sarebbe stato fatto di quelle armi, ma di certo il ritrovamento viene collegato dalla Procura ai piani criminali del gruppo.

Rom contro tutti – L’accusa ritiene «stabilmente costituita una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di reati – detenzione e porto di armi, usura, estorsione, incendi, omicidi, tentati omicidi – strumentali alla realizzazione di un controllo sicuro del territorio da parte di gruppi Rom in opposizione ai gruppi delinquenziali non Rom». Le conversazioni registrate vengono confermate da “riscontri operativi” effettuati dalla polizia che ora, però, saranno vagliati dai giudici del Riesame.

Le intercettazioni – Alla base dell’inchiesta, dunque, ci sono soprattutto le parole registrate in carcere, specialmente durante le visite. Oltre agli insulti e alle minacce, ci sono alcune disposizioni pratiche relative al reclutamento di giovani pronti a sparare o a picchiare le vittime. Un omicidio imminente potrebbe essere quello di Mario Nardone o di qualcuno legato al suo gruppo, ritenuto antagonista dei Di Silvio. Riferimenti riguardano anche alcune estorsioni già consumate e soprattutto la forza del clan, come si capisce da espressioni come queste: «Abbiamo noi il comando! Adesso siamo noi quelli importanti…»; «Tanto di ragazzi ce ne sono… La forza è con noi!»; «Quello che dobbiamo far capire è che se anche parte di noi sono in cella, contiamo e comandiamo allo stesso modo».

L’ALLEANZA CON IL CLAN CIARELLI

Un gruppo ben organizzato con una scientifica divisione dei ruoli, ma anche capacità operativa, distribuzione sul gruppo del peso economico degli affiliati e un programma criminoso ben delineato. E’ questo l’identikit, secondo la Procura, del clan Di Silvio. I vertici assoluti sono Costantino, Carmine e Armando i quali «sanno di poter contare su una serie di ragazzi fidati a cui garantiscono uno stipendio, se sono ancora liberi, e una adeguata assistenza legale, se ancora in stato di detenzione». In carcere si discute di tutto, dalle azioni da compiere a quelle già compiute, dall’immagine esterna del gruppo, fino alla distribuzione degli avvocati. Strategia, riflessioni, litigi. Tutto registrato dalle cimici e ora agli atti, nero su bianco. Ma ci sono anche alcune telefonate e qualche sms («La pistola da Gerardo vala a pia la nove tua») dal quale si evince, sempre secondo l’accusa, l’incarico per gli omicidi degli agenti penitenziari, “colpevoli” di aver trattato male i Di Silvio detenuti. L’ordinanza di custodia cautelare contiene una serie di riflessioni sulla “guerra criminale” scoppiata nel gennaio scorso: «Considerata la sequenza causale e temporale che lega l’omicidio Buonamano all’omicidio Moro ed entrambi al tentato omicidio di Carmine Ciarelli, conteneva già in sé un passaggio inferenziale: l’intervento ad adiuvandum del clan Di Silvio teso a rafforzare e difendere il potere territoriale della famiglia Ciarelli rispetto a pretese, evidentemente esterne, che consente ai componenti della famiglia un rientro sulla scena delinquenziale con pian riaffermazione della propria forza armata». Si descrive, in sostanza, una alleanza strategica tra i Di Silvio e i Ciarelli, un «agire comune finalizzato ad espellere dal sistema di spartizione delle attività redditizie illecite della terra di “Littoria” i gruppi “non Rom”». In particolare, sempre stando all’accusa, il gruppo rivale sarebbe quello di Mario Nardone, indicato come una delle prossime vittime del clan. Ora tutto ciò andrà dimostrato davanti ai giudici, a partire da quelli del Riesame che dovranno confermare o meno la detenzione in carcere. Gli avvocati evidenziato come siano già caduti tre capi d’imputazione. (M.Cusu.)
* Fonte: Il Messaggero 24-10-2010
  1. mandiamoli in Iran o in Cina, visto come funziona la loro organizzazione

  2. sono 20 anni che minacciano di morte tutti…sarebbe ora che sventrassero questa organizzazione definitivamente, sperando che, tutti i collusi, compresi i politici che hanno preso una miriade di voti, se ne vadano a casa, sarebbe ora di ingagare su: appalti, proprietà di attività commerciali, calcio, e tutto ciò che serve per riciclare, in ogni società in cui solo uno di loro pare entri qualcosa bisogna intervenire e fare accertamenti….forse non ce ne rendiamo conto ma questa è MAFIA, radicata in attività e più che nelle attività nelle MENTI.che schifo.

  3. E’ inutile agitarsi per nulla, tanto non succederà nulla come al solito, sono anni che a Latina si fa di tutto e di più, con i solito appoggio di politici corrotti pronti a tutto,tra qualche giorno passato il battage pubblicitario di elicotteri e retate spettacolari, si volterà pagina e tutto riprenderà come e peggio di prima.

  4. esatto questa è la Mafia di Latina, è ora che si cambi pagina.condanne severe per chi delinque e alle prossime elezioni ricordiamoci di chi li ha fatti campare a quesi qui!!