I figli di Roberto Berardi si incatenano davanti all’ambasciata

Non ce la fanno più, temono il peggio e chiedono di poter riabbracciare loro padre. Giulia e Marco Berardi, i figli di Roberto, si sono incatenati davanti all’ambasciata della Guinea Equatoriale a Roma. Il 19 maggio il Tribunale di Bata in Guinea Equatoriale ha deciso di negare la libertà a Roberto Berardi, imprenditore di Latina detenuto ormai oltre i termini previsti dalla sentenza che lo ha condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere. Pena già scontata ma Berardi resta dentro per un presunto errore nel calcolo della pena. Una scusa? Un pretesto per negare la libertà? Domande che assillano la sua famiglia, piombata nel più profondo sconforto.
L’imprenditore fu arrestato il 18 gennaio del 2013 e condannato per appropriazione indebita il 16 luglio di quell’anno: al processo farsa l’accusa non presentò nemmeno. Secondo molte Ong che si sono occupate del caso Berardi è «il prigioniero personale» dell’ex socio Teodorin Nguema, vicepresidente della Guinea Equatoriale. «Se Roberto fosse stato veramente colpevole al termine della pena sarebbe uscito» dice con voce rotta Rossella Palumbo, moglie di Berardi «e invece Roberto è ancora in prigione ed ancora in isolamento. Questo significa che è solo un perseguitato».
Le notizie che arrivano dall’Africa sono poche e confuse. Soprattutto riguardo lo stato di salute di Berardi, malato di malaria da tempo e ormai al limite della resistenza in una condizione di detenzione disumana. La liberazione è prevista per il 7 luglio, ma non c’è nulla di scritto e molti temono l’ennesimo rinvio.