CAOS LISTE, LA GUERRA DEI RICORSI

09/03/2010 di

La guerra del ricorsi in vista delle regionali è ancora in corso e forse riserverà altre sorprese. Ecco le tappe della vicenda con i tre casi principali.

LISTA PDL LAZIO 27-28 febbraio – Per irregolarità nella consegna della documentazione, la lista provinciale di Roma dei candidati Pdl non è ammessa. Il Pdl ricorre al Tribunale di Roma, Ufficio centrale circoscrizionale, che il 28 respinge l’istanza. 1-3 marzo – Il Pdl fa appello all’Ufficio centrale regionale presso la Corte d’appello, che il 3 marzo respinge il ricorso. 5-8 marzo – Il Pdl fa ricorso al Tar del Lazio, che l’8 lo respinge, escludendo di fatto la lista Pdl Lazio dal voto e giudicando inapplicabile il dl salva-liste del governo (il 6 maggio la sentenza di merito). Il Pdl annuncia l’appello al Consiglio di Stato e ripresenta in Tribunale la lista Pdl Lazio, ossia chiude l’iter di deposito in base al dl salva-liste.

LISTINO POLVERINI 2 marzo – Manca una firma: l’ufficio centrale elettorale della Corte d’Appello di Roma non accetta il listino Polverini, a cui è collegata la candidatura a governatore, che decade. 3-4 marzo – Il Pdl fa ricorso alla Corte d’appello, con la documentazione che sana le irregolarità. Il 4 il listino è riammesso: la candidatura Polverini torna in pista.

LISTA FORMIGONI 1-2 marzo – Per 500 firme non valide la Corte d’Appello di Milano non ammette la Lista per la Lombardia, ossia il listino Formigoni, la cui candidatura cade. Il 2 scatta il ricorso all’ufficio centrale regionale della Corte d’appello. 3 marzo – La Corte d’Appello respinge il ricorso e di nuovo non ammette la lista. Formigoni è ancora fuori dal voto e con lui le liste Lega Nord e Pdl che lo sostengono. 4 marzo – La lista Formigoni ricorre al Tar della Lombardia. 6 marzo – Il Tar concede la sospensiva e riammette la lista e Formigoni, prescindendo dal dl salva-liste nella sua decisione, confermata oggi nel merito. Penati (centrosinistra) e Cappato (radicali) stanno valutando di impugnare la sentenza.

PD CONTRATTACCA, NO RINVIO E PRONTI A RICORSO – Prima le ipotesi ventilate dalla maggioranza, poi la richiesta dei Radicali, alleati preziosi in questa campagna elettorale. Ma la risposta di Pier Luigi Bersani ad un rinvio del voto resta la stessa: un no secco. Il Pd non vuole perdere l’occasione del calo di consensi del centrodestra, rilevato dai sondaggi, e nemmeno dare l’impressione di accordarsi con Berlusconi dopo il caos delle liste. «Noi abbiamo ottime ragioni, il pasticcio è tutto nel loro campo, andiamo a votare e vinciamo», è l’invito rivolto ai Radicali dal leader Pd, pronto a dare battaglia in Parlamento, in piazza ma anche in tribunale in caso di accoglimento della lista Pdl. Nuova giornata vissuta sulle montagne russe per la politica e per il Pd che in Aula inaugura l’ostruzionismo, ottenendo alla Camera di battere la maggioranza mentre al Senato la maggioranza interrompe la battaglia decidendo il voto di fiducia sul legittimo impedimento. Bersani e Franceschini, rivali al congresso, ora lavorano fianco a fianco nei rispettivi ruoli di segretario e di capogruppo. L’idea è chiara sin dalla prima mattinata, quando il Pd riunisce i gruppi parlamentari: il rinvio è inaccettabile perchè, spiega Bersani ai deputati, «un conto è quando manca il candidato alla presidenza e allora si pone un problema di rappresentanza, altro è quando non c’è una lista…per votare Polverini basta votare il listino». Quindi «non si può sommare pasticcio a pasticcio, c’è una scadenza elettorale e operazioni di validazione in corso». Una posizione che trova d’accordo la maggior parte del partito anche se c’è un’area, minoritaria e molto vicina al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che, come l’eurodeputato Gianni Pittella, auspica che «maggioranza ed opposizione trovino un accordo per un sereno svolgimento del voto». Per i più, invece, è «… la guerre come … la guerre», quindi avanti a colpi di ricorsi da parte delle Regioni contro il decreto, di ostruzionismo (anche se è voto bipatisan sulla legge sulle cure palliative e sull’emendamento che allunga la cig). Al tribunale di Roma, come ieri al Tar, i legali del Pd presidiano la situazione, pronti a ricorrere in caso di accoglimento della lista del Pdl perchè, sostiene Bersani, «i pasticci si risolvono con i vari passaggi al Tar ma poi si vota». Nel pomeriggio il segretario porta la bandiera della battaglia nelle urne nell’arena dell’assemblea dei Radicali. «Io non sottovaluto i problemi giuridici – comprende il leader Pd – ma lasciamo stare i cavilli e andiamo al sodo: andiamo a votare e a vincere. Berlusconi è finito». Alcuni applaudono, altri rumoreggiano: «Ma le regole? e se loro fanno ricorso dopo il voto?». Bersani la fa spiccia: «Noi abbiamo il popolo, non ci indeboliamo da soli». Pannella non condivide il no ma conferma il feeling con il segretario Pd «con il quale, a differenza di altri segretari, il dialogo è sempre aperto». E sembra intesa ritrovata anche con Antonio Di Pietro dopo le tensioni per gli attacchi dell’ex pm a Napolitano per la firma del decreto. Il tempo di un caffè alla buvette serve ai due per confermare la piattaforma di «democrazia e lavoro» della manifestazione di sabato. Bersani sembra dar fiducia agli impegni di Di Pietro di andare in piazza «contro il governo e non contro il Capo dello Stato». Al punto che il leader Idv è intenzionato a intervenire dal palco, anche se gli organizzatori preferirebbero dar voce a costituzionalisti e personalità e non ai leader politici. «Io certamente interverrò – assicura Di Pietro – non so gli altri leader. La manifestazione serve a informare gli italiani dei rischi di una deriva democratica e al contempo serve per parlare dei problemi degli italiani, a partire dal lavoro».