Sangue infetto in ospedale, risarcimento da 230.000 euro per l’epatite C

21/03/2018 di

Dopo 10 anni di processi arriva il risarcimento di 230.000 per un 60enne di Gaeta a cui nel 1975 gli vennero trasfuse diverse sacche di sangue infette dal virus HCV ell’epatite C al Dono Svizzero di Formia.

In primo grado la causa è iniziata nel 2008 e terminata nel 2013 con una prima sentenza di condanna del Ministero della Salute da parte del Tribunale di Roma che aveva riconosciuto la negligenza nella raccolta e nella somministrazione di sangue da parte dei medici dell’ospedale di Formia e condannato lo Stato a risarcire all’uomo circa 140mila euro.

Il Ministero della Salute aveva però appellato la sentenza di primo grado affermando che il diritto al risarcimento si era prescritto poiché erano oramai trascorsi decine di anni dalle trasfusione del 1975 e che comunque al tempo non esistevano i Test per rilevare nei donatori il virus dell’epatite C.

Secondo il Ministero in mancanza di tale Test, approntato solo nel 1988 dalla Comunità Scientifica Mondiale non poteva riconoscersi la colpa dei sanitari del Dono Svizzero e quindi quella del Ministero della Salute poiché non poteva vigilare sull’ospedale formiano su qualcosa che neppute esisteva nel 1975.

Anzi secondo il Ministero della Salute nel 1975 la scienza non conosceva neppure che esisteva virus dell’epatite C e nemmeno quelo dell’epatite B il cui Test di rilevamento nei donatori venne approntato nel 1978.

L’uomo di Gaeta, assistito dall’avvocato Renato Mattarelli, si è difeso nel giudizio di appello affermando che esisteva la responsabilità del Ministero già a metà degli anni ’60, quando era possibile escludere il contagio attraverso Test obbligatori nel 1966 che seppur indirettamente avrebbero evitato il contagio se eseguiti: esclusione dalla donazione dei soggetti le cui analisi del sangue indicano la presenza anomala delle transaminasi e cioè di enzimi rilevatori di una sofferenza al fegato per infenzione/infiammazione.

L’avvocato Mattarelli ha anzi “rincarato la dose” affermando con un appello incidentale che semmai la sentenza del primo grado, impugnata dal Ministero della Salute, era ingiusta poiché il risarcimento di 140mila, riconosciuto all’uomo di Gaeta Euro, non era proporzionata al danno concretamente subito e comunque non calcolato correttamente.

Così è stato: la sentenza numero 1775 del 21 marzo 2018 della Corte di Appello di Roma ha accolto l’Appello incidentale del 60enne di Gaeta dichiarando errata la sentenza del Tribunale di Roma, che aveva applicato erroneamente i parametri di liquidazione del risarcimento senza tener conto dei principi indicati dalla Suprema Corte di Cassazione in favore delle cd. tabelle di danno del Tribunale di Milano anziché quelle del Tribunale di Roma.

La Corte di Appello ha dato completamente ragione all’uomo di Gaeta rigettando l’Appello del Ministero e accogliendo l’Appello incidentale condannando il Ministero della Salute a pagare all’uomo non più i 140mila del primo grado ma la somma di 230mila Euro.