Il vescovo Mariano Crociata interviene sulle scuole paritarie, il testo dell’omelia di Natale
La sera del 24 dicembre scorso, nella cattedrale di S. Marco, a Latina, il vescovo Mariano Crociata ha presieduto la Messa della Notte nel Natale del Signore. Nel corso dell’omelia, il Vescovo ha citato e spiegato anche la reale situazione delle suore che in alcuni casi stanno lasciando le scuole paritarie comunali di Latina. Si tratta di scuole dell’infanzia gestite in convenzione con l’amministrazione comunale del Capoluogo, tra queste l’asilo di San Marco, da 35 anni gestito dalle suore Figlie di Maria Ausiliatrice.
IL TESTO INTEGRALE DELL’OMELIA DEL VESCOVO MARIANO CROCIATA:
«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce», proclama Isaia; e il Vangelo di Luca a sua volta nota che al presentarsi dell’angelo ai pastori, «la gloria del Signore li avvolse di luce», mentre la lettera a Tito, passando dall’immagine alla realtà, annuncia: «è apparsa la grazia di Dio, che apporta la salvezza». Quale luce e quale grazia per noi in questo Natale? La presenza di Gesù, per i credenti, è una realtà che si rinnova ogni giorno, ad ogni celebrazione, ad ogni momento di preghiera, ad ogni intenzione di bene, decisione di giustizia e gesto di amore che nascono dalla fede in lui. Come allora, anche oggi la luce della grazia ha bisogno di credenti per essere colta e accolta. Che credenti trova il Natale di quest’anno?
È questa la domanda che sale alla mia coscienza in questa circostanza, pensando a una vicenda che si sta consumando in questi giorni e in questi mesi. Mi riferisco alla conclusione della presenza delle suore nella scuola di S. Marco e in quasi tutte le scuole comunali dei borghi. Un fatto che addolora molto per il significato e le conseguenze che contiene. Ritengo di non poter fare a meno di richiamare questa vicenda, innanzitutto perché il nostro pensiero in questi giorni inevitabilmente va ad essa, consapevoli come siamo che con questo passaggio è una parte importante della storia di questa città che finisce. Ho deciso di parlarne, però, anche per un motivo più preciso, che è legato proprio alla festa che stiamo celebrando. Il Natale segna l’inizio della presenza di Gesù Cristo nella storia, una presenza che l’ha plasmata e impregnata – la storia – in maniera così pervasiva che, in paesi come il nostro, ancora oggi, nonostante tutto, sono ancora molte le cose che parlano di lui. È su questo punto che la vicenda delle scuole comunali con la presenza delle suore deve farci riflettere, perché anch’essa è stata segno della presenza cristiana nel nostro territorio e nella nostra città.
È necessario che dica innanzitutto due cose, che non hanno una grande attinenza religiosa ma sono necessarie per capire; anche perché celebrare il Natale non significa organizzare la fiera dei buoni sentimenti, che risultano alla fine tanto melensi quanto inetti, se non producono atteggiamenti corrispondenti, valutazioni appropriate, decisioni coerenti, scelte coraggiose. La prima cosa da dire è che una legge di appena l’anno scorso non consente più di mantenere la presenza delle suore nelle scuole comunali come è stato per il passato. La seconda è che mettere in piedi una scuola paritaria religiosa, cioè una scuola delle suore, è impresa sempre più insostenibile, in un tempo in cui le scuole paritarie cattoliche che hanno chiuso, solo da un anno a questa parte, sono in Italia più di duecento. Di tale fenomeno abbiamo avuto, peraltro, un esempio rilevante in città, con la chiusura della scuola delle suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue. Questo anche perché, nonostante l’enunciazione di principio, pure questa definita per legge, che il sistema scolastico italiano si regge, oltre che su quella statale, sulla scuola paritaria, la parità non ha avuto attuazione, così che continuerà ancora e crescerà il numero delle chiusure.
La vera questione che emerge per noi, però, è un’altra e tocca la società intera e le famiglie, e naturalmente i fedeli tutti, quando si tratta di credenti. Gli attori in gioco, infatti, non sono solo il comune e le suore, ma anche lo stato, come abbiamo detto, e noi tutti, società civile e comunità ecclesiale. Anche come comunità ecclesiale arriviamo troppo tardi, purtroppo. Ma è pur sempre necessario domandarsi: ci siamo mai interrogati sul servizio delle suore? Da dove vengono? Perché e come queste donne hanno deciso di farsi suore? Perché hanno scelto di condurre una vita del genere, dedicandosi agli altri, senza guadagnare quasi nulla, mosse solo dal desiderio di servire l’educazione umana e cristiana di bambini e ragazzi? Spuntano dal nulla? O qualcuno le produce in serie? È scontato che debbano sempre essercene a disposizione delle nostre pur buone e legittime esigenze? Insomma, noi abbiamo solo il diritto di chiedere, e anzi di pretendere che qualcuno, meglio se suora, si prenda cura dei nostri figli, senza che facciamo nulla per assicurare che qualcun’altra continui la sua opera?
Il problema che questa vicenda solleva, per noi credenti, riguarda la riduzione che abbiamo fatto anche del cristianesimo a un bene di consumo, per i servizi e gli aiuti, sociali, morali o anche spirituali che può darci, ma svuotato della capacità di coinvolgerci in ciò che gli è di più proprio; un cristianesimo sociologico e culturale, che interessa solo per la tradizione che serve a veicolare, ma devitalizzato della domanda di fede che è il suo tratto specifico: fede come scelta personale che fa mettere in gioco nel rapporto col Signore e nell’impegno per una vita di servizio a favore degli altri, a cominciare dalle nuove generazioni, di cui tutti abbiamo la responsabilità di prenderci cura.
Ora la sfida è su come educare alla vita e alla fede bambini e ragazzi che non possono più disporre di una presenza come quella delle suore, su cosa possiamo e dobbiamo fare per instillare in loro il gusto della vita buona e il senso cristiano del nostro stare al mondo. Senza la trasmissione di un tale gusto e senso, ci finirà come quei paesi, che cristiani non sono e non sono mai stati, ma festeggiano lo stesso il Natale, senza sapere perché, ma semplicemente perché nella globalizzazione commerciale fanno tutti così, per fare festa, comunque. E non saranno gli immigrati a toglierci il vero Natale, perché stiamo provvedendo da soli a svuotarcelo dal di dentro.
E tuttavia, se una storia finisce, un’altra può cominciare. Natale è festa della speranza in una vita che nasce dall’alto, che guarda con fiducia il futuro. E il futuro di questa nuova storia ha un metodo e due opportunità: il metodo è quello del coinvolgimento e dell’alleanza, della ricerca dell’aiuto e della collaborazione tra tutti; le due opportunità sono l’alleanza tra famiglia e parrocchia, e in questa anche le suore continueranno a giocare il loro ruolo e la loro partita; e poi l’alleanza tra famiglia e scuola, dove però gli educatori sono i docenti e i genitori concorrono attivamente e costruttivamente al buon esito della loro opera.
Ne va del Natale. È proprio così: in questa faccenda ne va del Natale, cioè della presenza di Cristo e dei suoi discepoli in questa città e nel mondo della scuola. Confido che si cerchi da parte di tutti il modo di assumere un impegno rinnovato nei confronti dei bambini e dei ragazzi. A loro ha voluto rendersi simile Gesù venendo al mondo; se ci prenderemo cura di loro come sarebbe giusto, Gesù stesso si sentirà oggetto delle nostre premure, perché ciò che avremo fatto a loro, Gesù lo prenderà come fatto personalmente a lui.
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