Vasco, una bomba metal infiamma Roma

25/06/2014 di

Quando dal mega palco esplodono le note de «Gli spari sopra» si capisce subito che Vasco è stato di parola: lui ha parlato di svolta metal e di scaletta e ritmica spietate e così è. Qui, musicalmente parlando, non si fanno prigionieri. Nessun facile intento celebrativo, piuttosto voglia di cambiare e di ribadire, per usare le sue parole, che «Vasco è un duro che dura». E può anche esibire la testa rasata. Lo stadio Olimpico è pieno all’inverosimile di un popolo adorante che si lascia ben volentieri sbatacchiare dalla furia metallara del concerto.

Domani e domenica l’Olimpico si riempirà di nuovo per le repliche del «Live Kom 014», prima dei quattro sold out di San Siro, a Milano, il quattro, il cinque, il nove e il 10 luglio. Il Komandante è in gran forma, di ottimo umore, l’impianto di amplificazione sofisticato e potentissimo, il palco uno spettacolare mostro tecnologico di 800 mq con due megaschermi laterali e uno centrale.

L’elemento centrale è la «V»: sulla «V» è costruita la scenografia centrale e a «V» è la passerella che si protende tra la folla. Questo ennesimo «cambiamento» nasce dalla voglia di nuovo e da un desiderio di precisione nella musica: ecco il motivo della scelta di un chitarrista ritmico come il giovane e promettentissimo Vince Pastano e di un batterista come Will Hunt, preso in prestito dagli Evanescence, un picchiatore biondo che, secondo le regole del metal, non dà tregua, dispensa sessanquattresimi con la doppia cassa e cambia radicalmente il sound complessivo. Steff Burns, il chitarrista divo, ora che non c’è più Solieri, è libero di spadroneggiare sulla scena.

La svolta è addirittura radicale, forse, insieme a quello di rinnovarsi, c’è anche il desiderio di aprirsi verso un pubblico nuovo: fatto sta che Vasco canta in un contesto dove di solito i cantanti usano il sovra acuto o il growl cavernoso. Non c’è traccia del Vasco più ironico o intimista: questo è il Vasco di oggi, «un duro che dura», circondato da gente che picchia di brutto. Per la prima parte del concerto i grandi classici lasciano spazio a «Muoviti!», «La fine del millennio», «Come stai», «Manifesto futurista …».

La musica è una corsa impacabile, senza respiro, molto arrangiata, con unisoni di chitarra e i consueti stacchi metal. C’è pure spazio per il ripescaggio di «Strega», un brano che suonava negli anni ’80, prima di «Dannate nuvole» e «Sballi ravvicinati del terzo tipo». Da questa incontenibile voglia di metal esce fuori una versione formidabile di «C’è chi dice no», con l’ abito nuovo di un tipaccio da quartieri malfamati e la sua natura intatta di inno inter generazionale. Col passare dei brani (lo show dura oltre due ore e mezza) comincia a riemergere il Vasco più classico: prima un medley rock a base di «Cosa vuoi da me», «Gioca con me», «Delusa», «Mi si escludeva», «Asilo», poi si va verso la conclusione della prima parte che si chiude con «Liberi liberi», il pezzo inserito in scaletta quasi per referendum popolare.

Con i bis il cambio di registro è così marcato da dare l’impressione di un nuovo inizio: il metal non c’è più, spazio ai classici («i bis sono i bis e quei brani non si possono toccare» dice Vasco) e a un’atmosfera più distesa. Non si va a più a tremila, Vasco mette nelle interpretazioni tutta l’intensità di cui è capace e «Sally» ancora una volta fa stringere il cuore prima del grande rito collettivo celebrato con «Siamo solo noi», «Vita spericolata» e «Albachiara». Dopo due ore e mezza la gente può tornare a casa. Come sempre ha dato tutto quello che ha per l’uomo che da tanti anni racconta le loro vite. E che gli ha dimostrato che anche i duri che durano non dimenticano le emozioni.