CINEMA: PREMIO ALBERTO SORDI A VERDONE

12/06/2010 di

Carlo Verdone, Milly Carlucci e Massimo Ranieri sono i vincitori della terza edizione del premio Alberto Sordi, che verrà consegnato il 15 giugno all’Auditorium Parco della Musica di Roma, nella serata evento ‘Dedicato ad Albertonè, organizzata dalla fondazione Alberto Sordi in occasione dei 90 anni dalla nascita dell’attore. I proventi dei contributi raccolti durante la serata benefica saranno devoluti alla ricerca del morbo sull’Alzheimer e alle nuove tecniche per combatterlo con la diagnosi precoce su cui lavora il dipartimento di neurologia, diretto da Paolo Maria Rossini, dell’Università Campus Bio-Medico, da anni sostenuta dalla Fondazione, nata nel 1992.

Il premio va «a personalità dello spettacolo che si siano distinti per il talento e l’impegno sociale, che si avvicinino un pò al cuore di Alberto», spiega Stefania Binetti, responsabile delle relazioni esterne della Fondazione. La serata, cui parteciperanno, fra gli altri, anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, Giuliano Gemma, Mara Venier, trasmessa in diretta streaming sul sito www.fondazionealbertosordi.it, sarà costituita da varie parti: testimonianze di personaggi dello spettacolo e persone comuni su Sordi; il filmato inedito della giornata vissuta dall’attore a 80 anni come sindaco di Roma, durante cui incontrò anche l’allora capo dell’opposizione Silvio Berlusconi; la presentazione di un’asta benefica legata all’auto dell’attore, una Bmw 300. Inoltre si esibirà con i sonetti de La scoperta dell’America di Pascarella anche la Compagnia ex Giovani, formata da parte dei 55 anziani, età media 85 anni (ma ci sono anche centenari) che ogni giorno frequentano il centro diurno Anziani fragili creato a Trigoria.

Nella struttura, sostenuta dal Comune di Roma e da sponsor «gli anziani non sono passivi, ma imparano il computer, l’inglese, recitano, creano piccoli manufatti, tutto con aiuto di volontari», dice Sergio Utili, direttore della Fondazione nata nel 1992 per creare un progetto socio-sanitario dedicato alla cura e al miglioramento delle condizioni di vita delle persone anziane. «Ho fatto tutto questo perchè anch’io ho raggiunto il traguardo della vecchiaia e capisco qual Š il disagio», aveva detto l’attore nel 1998 alla posa della prima pietra a Trigoria del Centro per la Salute dell’Anziano (CESA), la struttura realizzata dall’Università Campus Bio-Medico di Roma sul terreno donato da Sordi, che comprende il centro diurno, ambulatori e reparti di degenza. Dopo la scomparsa di Albertone, grande sostenitrice del Centro e della Fondazione è la sorella Aurelia, che oltre a pagare le vacanze degli ospiti del Centro Anziani fragili, ha aiutato ad allestire nella struttura il Museo Alberto Sordi, donando premi, abiti, foto, e parte dell’arredamento della casa in cui viveva con il fratello.

90 ANNI FA ALBERTO SORDI – Chissà se tra qualche anno i turisti che varcano la soglia della romana Galleria Sordi e quelli che camminano indolenti sul Lungomare Alberto Sordi di Jesolo (per citare solo due dei mille luoghi a lui dedicati) si domanderanno chi fosse quel signore. È probabile che, diversamente da tanti altri grandi italiani il cui ricordo sbiadisce nella memoria, il faccione, la risata, la simpatia contagiosa di Albertone facciano il miracolo e rimangano impressi oltre il tempo. In un’Italia in cui gli studenti spesso si chiedono chi sia mai stato quel tal Federico Fellini a cui la loro scuola è intestata, il mito di Alberto Sordi non conosce incertezze a 90 anni dalla nascita (il 15 giugno del 1920 nel popolare quartiere romano di Trastevere) e a sette dalla morte (il 24 febbraio del 2003). Così come nitide restano le immagini dell’imponente omaggio di folla che si strinse intorno a lui in occasione del solenne funerale (vennero in 500.000), con una fila ininterrotta di gente comune a rendergli omaggio, in Campidoglio, per due giorni e due notti. È stato un grande dolore, dichiarò in quell’occasione il Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi traducendo un sentire comune che non conosceva differenze dalla Sicilia alla Lombardia. Veramente Sordi ha interpretato i sentimenti degli italiani, soprattutto nei momenti più difficili e duri. Ha rappresentato i sentimenti degli italiani mentre il Paese si stava sfasciando. Però nelle sue interpretazioni non c’è mai la rappresentazione dello sfascio senza la speranza. C’è quindi in lui una profonda italianità . Del valore della sua maschera, diventata icona nazionale, Albertone era cosciente tanto da intitolarsi in vita, con la complicità di Giancarlo Governi, un autentico monumento di celluloide quali restano le quattro puntate della sua ‘Storia di un italianò, realizzate per la tv con frammenti di molte delle sue migliori interpretazioni. Quasi come se, attraverso il suo cinema, la nazione potesse ricostruire una sua autobiografia ideale, comune a tutti e capace di scandire le epoche, dalla guerra alla ricostruzione, dal boom economico alla congiuntura e poi al lento disfacimento dei valori negli anni ’70 e ’80. Non a caso, uno dei film favoriti dell’ormai anziano attore/regista era il suo ‘Nestorè (1994) in cui interpreta un vecchio vetturino romano che non si rassegna al passare del tempo e alla necessità di abbattere il suo cavallo, compagno di vita e di avventure. Sociologi e psicologi si sono a lungo interrogati sulla popolarità di una maschera espressiva (Sordi in fondo cesellò all’estremo un solo personaggio, sfaccettato e ogni volta diverso, ma fedele a se stesso) che registi diversissimi tra loro, da Fellini a Monicelli, da Mastrocinque a Zampa, da Risi a Scola, scelsero per incarnare l’italiano medio. Per conseguire questo risultato il bonario e ‘piacionè Sordi rinunciò ad essere amato sullo schermo come eroe e scelse invece di essere ‘adottatò per i vizi e miserie che pescava nei comportamenti tipici della gente comune. «È stato un comico – dice Mario Monicelli – capace di contraddire tutte le regole del comico, degno di Charlot per come inteneriva con la sua infingardaggine e si faceva amare con il suo cinismo vile». E di recente, parlando della magistrale lezione drammatica impartita in ‘Un borghese piccolo piccolò (1977): «Sordi credeva nei valori del suo personaggio – commenta Monicelli – e in qualche modo ne giustificava la cattiveria. Io la vedevo all’opposto, ma fu facile accordarsi. Vai tranquillo, gli dicevo, e vedrai che se alla fine molti daranno ragione a me ma altri si ritroveranno nei tuoi sentimenti, il film avrà ottenuto il suo scopo». Così è probabilmente per gli italiani, capaci di comprendere dove stanno il bene e il male, ma sempre tolleranti rispetto ai propri vizi nazionali. È quasi vano l’esercizio di segnalare i capolavori indimenticabili tra i 150 film (19 quelli diretti) che Alberto Sordi ha interpretato nel corso di una carriera memorabile. Titoli come ‘Mamma mia che impressionè, ‘I vitellonì, ‘Un americano a Romà, ‘Gastonè, ‘Tutti a casà, ‘Una vita difficilè, ‘La grande guerrà, ‘Fumo di Londrà, ‘Il medico della mutuà, ‘Detenuto in attesa di giudiziò (Orso d’oro alla Berlinale), ‘Lo scopone scientificò, ‘Il tassinarò sono ormai entrati a far parte del codice genetico di questo paese. Sette volte premiato ai David di Donatello (più quattro riconoscimenti speciali), quattro Nastri d’Argento, un Leone d’oro alla Carriera, infiniti trofei e il titolo di Cavaliere di Gran Croce, dicono bene che Alberto Sordi ebbe in vita ampio riconoscimento dei suoi meriti. Eppure non modificò mai il sobrio stile di vita, l’ironia affettuosa che non risparmiava anche a se stesso, il gusto per misurarsi in sfide appassionanti: iscritto alla Siae come ‘compositore melodistà e virtuoso del mandolino, prima tenore nel coro della Cappella Sistina e poi promettente basso, doppiatore, istrione radiofonico, comico di varietà, mattatore televisivo, Sordi è stato ‘l’autore di se stessò ed è questa unicità che convinse un sindaco (l’allora primo cittadino di Roma, Francesco Rutelli) a conferirgli per un giorno la fascia di sindaco della sua città. Era il 15 giugno del 2000.