DONNA ALL’ERGASTOLO RIFIUTA CIBO E MEDICINE PER OTTENERE TRASFERIMENTO

19/10/2007 di
Da oltre una settimana rifiuta cibo e medicine per
cercare di ottenere il trasferimento dal carcere di Latina a quello romano di
Rebibbia. Protagonista della vicenda – seguita dal Garante Regionale dei Diritti
dei Detenuti Angiolo Marroni – Gioacchina C., una detenuta siciliana di 54 anni.


 

La donna – condannata all’ergastolo, quello che in
carcere si chiama “fine pena mai” – è
da oltre due anni rinchiusa nel carcere di Latina in regime di isolamento
diurno. Data la sua particolare condizione ha seri problemi per usufruire dei
suoi diritti più elementari come, ad esempio, l’ora d’aria, che non può
condividere con le altre detenute. Visto che il carcere pontino non è attrezzato
per questo tipo di esigenze, Gioacchina può usufruire di mezz’ora d’aria solo
perché le altre detenute acconsentono, in certe occasioni, a ridurre il loro
tempo. Ma ci sono stati periodi in cui la detenuta siciliana è rimasta chiusa
nella sua cella anche per 48 ore di seguito.


 

A questo quadro devono aggiungersi anche le
precarie condizioni di salute della donna, affetta da seri problemi di glicemia
che si ripercuotono soprattutto sulle coronarie e sulla vista.


 

Per questi motivi, da mesi Gioachina ha fatto
istanza di trasferimento a Rebibbia Nuovo Complesso, dove le condizioni di vita
sono migliori e dove, soprattutto, i medici sono sempre presenti. Ma a tutte le
sue richieste e a quelle presentate dal Garante dei detenuti, in cui si
segnalava anche il progressivo peggioramento delle condizioni di salute della
donna, il DAP non ha mai risposto.


 

«E’
inaccettabile che una donna debba difendere con forme così estreme di protesta
il diritto a vivere con dignità la sua condizione di detenuta e di malata –
ha detto il Garante regionale dei
diritti dei detenuti Angiolo Marroni -. Gioacchina è stata condannata per le colpe
che ha commesso e sta scontando la sua pena in carcere. Non ha chiesto sconti di
pena né benefici, ma solo di potere vivere meglio. Credo che in casi come questi
occorra una particolare sensibilità per scegliere una strada che non attenui il
rigore della pena, ma che salvi la capacità di comprendere ed aiutare le persone
in difficoltà».