PENNACCHI: IL PREMIO STREGA NON MI CAMBIERA’

04/07/2010 di

Di ALAIN ELKANN *

Pennacchi, pensava di vincere un premio come lo Strega con un romanzo dal titolo «Canale Mussolini» (Mondadori)?
«Ci speravo, devo dire la verità, ma non ci credevo, perché ci davano per perdenti visto che la Mondadori aveva vinto le tre edizioni precedenti dello Strega. Non pensavo che il nome di Mussolini potesse rappresentare un problema, perché fa parte della storia italiana nel bene e nel male, e questo lo dobbiamo capire. Ne fa molto più parte di quanto noi non crediamo o non vogliamo credere».


antonio_pennacchiIl libro quindi è stato premiato per meriti soltanto suoi, che vanno al di là della casa editrice? «Certo, tutti gli editori hanno dei pacchetti di voti, ma se il romanzo ha vinto è perché c’è un gruppo di votanti che ha premiato la storia. Me ne sono convinto girando per Latina, la mia città, dove incontro gente che dice “Abbiamo vinto lo Strega”. Non lo ha vinto Pennacchi, ma il popolo di Latina, di questa terra. Ha vinto la Storia, io ho inventato pochissimo, ho solo raccolto e raccontato la Storia».

È la sua storia?
«Sì, la mia. La mia famiglia faceva parte di quelle trentamila persone che sono venute dal Veneto, non c’è nulla di inventato».

Quando ha vinto come si è sentito?
«Lì per lì non ci credevo, poi ho provato una grande emozione. Ho pensato innanzitutto a mio fratello, che è morto pochi mesi fa, poi a mia moglie, alla mia famiglia e ai miei morti perché è la storia dei miei. Nella nostra famiglia, siamo stati i primi ad arrivare alla laurea, dietro di noi c’erano soltanto contadini».

Lei era un operaio?
«Sì ero un operaio, ma durante la cassa integrazione mi sono laureato all’università. Siamo venuti in queste terre perché al nord ci avevano cacciati, questa è la verità».

Dunque lei dà ragione al critico letterario Angelo Guglielmi quando sostiene che oggi la narrativa può parlare soltanto di storie personali, di storie famigliari o essere romanzo storico?
«Se parliamo anche di romanzo storico, sì, sono d’accordo. Ma nel gruppo ’63 c’è stata anche gente che ha combinato guai storici per la letteratura italiana, perché ha negato il romanzo. Io provo a scrivere le storie che conosco, faccio un romanzo storico, come nell’Ottocento, come Bacchelli o come Margaret Mitchell, l’autrice di “Via col Vento”. Ma anche la Genesi, l’Iliade, l’Eneide, la Chanson de Roland sono romanzi storici. Se poi c’è chi preferisce guardarsi soltanto l’ombelico faccia pure. Io però so raccontare solo storie vere, piaccia o non piaccia, comodo o scomodo che sia, il romanzo storico è secondo me il vero romanzo».

Il periodo fascista l’attira molto nei suoi romanzi?
«Ci sono questioni che come Paese non abbiamo risolto, prima di tutto come popolo, penso alla responsabilità sulle leggi razziali, non ci fu una sola manifestazione di dissenso. Le uniche persone che si sono opposte sono state Italo Balbo e Emilio De Bono nel Gran Consiglio. Ma nella sua globalità il popolo italiano ha detto, “Che me frega, mica sono ebreo io”, ci siamo voltati dall’altra parte e secondo me un antisemitismo di fondo è ancora presente nel popolo italiano, sia a destra, che a sinistra, mascherato da antisionismo».

La vittoria allo Strega le cambierà la vita?
«Spero di sì dal punto di vista economico, per arrivare alla fine del mese. Forse dovrò cambiare il mio numero di telefono, ma continuerò ad andare a Latina dal barbiere e al bar a litigare come sempre di calcio e di politica».

Farà il bis vincendo anche il Campiello?
«Il Campiello lo meriterei davvero, perché è il premio organizzato dalla Confindustria veneto, e dato che la mia famiglia è stata “cacciata” da quelle terre, penso che mi tocchi di diritto. Credo però che lo vincerà Carofiglio perché il giallo è più facile da leggere per una giuria popolare. Il mio è un libro difficile, un mattone di 450 pagine e più, penso che un ragazzo fatichi a leggerlo».

Ora si considera un letterato?
«Ormai lo sono diventato. Sono un “barbaro”, come direbbe Eugenio Scalfari. Mi considero un letterato che viene dal magma, non ho ancora imparato a comportarmi nei salotti».

Perché porta sempre il cappello blu in testa?
«Ho cominciato per via dell’artrosi cervicale, poi è diventato una coperta di Linus. Mio padre portava il basco, e io faccio come lui. Identico a lui. Io sento una forte identificazione con la figura di mio padre, lo vedo come una statua di marmo, lo sogno con molta dolcezza e anche con sicurezza, perché lui fu uno di quelli che bonificarono l’Agro Pontino. Diciamo la verità è mio padre che era bravo, non io».

* Fonte: La Stampa 04-07-2010