Natale, il messaggio del Vescovo Giuseppe Petrocchi

24/12/2012 di
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Pubblichiamo il messaggio di Natale del Vescovo di Latina Giuseppe Petrocchi.

In quest’Anno della fede, il Natale ci chiama a rivedere, alla luce della Parola, le nostre relazioni fondamentali: a Dio, a noi stessi, agli altri e al mondo.

Il Vangelo dell’Avvento ci ha invitato ad “abbassare ogni monte ed ogni colle” e “a riempire ogni burrone”, per preparare la via al Signore (cfr. Lc 3,4-5). Espressioni, queste, che possono essere interpretate come un invito a fare, personalmente e insieme, una seria “revisione di vita”, per identificare gli ostacoli che dentro di noi si frappongono ad un serio cammino di perfezione e impediscono al Signore di raggiungerci, per portare la Sua salvezza. Infatti, l’onnipotenza di Dio si arresta di fronte alla nostra libertà: noi possiamo impedire al Signore-che-viene di entrare nella nostra esistenza e trasformarla con il suo Amore (cfr. Ap 3,20).

È bene perciò che ci sforziamo di compilare una lista, anche se sommaria, dei nostri principali difetti, che sono in genere caratterizzati da atteggiamenti sproporzionati (per “eccesso” o per “carenze”) rispetto alla “giusta misura”, suggerita dalla fedeltà al Vangelo e alla saggia ragione.

Nel primo elenco, quello contrassegnato dalla “sindrome del troppo”, vanno individuati gli atteggiamenti in cui si oltrepassa il limite della correttezza cristiana ed umana: es. impulsività e presunzione nel valutare persone ed eventi; reattività emotiva, accesa e tendenziosa; centratura narcisistica e orgogliosa su se stessi, smodata ricerca di gratificazioni; attaccamento sbilanciato alla carriera e al denaro; dipendenza nevrotica da abitudini sbagliate; tempi sovra-investiti in alcuni centri di interesse e sottratti ad altri impegni doverosi, ecc..

Non meno squilibrato e dannoso risulta l’elenco dei vizi, contrassegnati da colpevoli “deficit” di sapienza e di amore: mancanza di obiettività e superficialità nei giudizi, scarsa cura della propria vita spirituale, debole autocontrollo, poca disponibilità all’ascolto, avarizia nel dono di sé, povertà nelle relazioni interpersonali, disordini affettivi e morali, lentezza nel chiedere e dare perdono, bassa soglia di tolleranza alla sofferenza, ecc..

Questi stili di vita errati (per eccesso o per difetto), bloccando la comunione con il Signore, ostruiscono pure i sentieri dell’incontro con noi stessi e con gli altri. Rappresentano, perciò, fattori di oscuramento interiore e falde inquinate del cuore, che soffocano la pace dello spirito e contagiano le interazioni con il prossimo.

Occorre chiedere a Dio il coraggio di mettere in questione noi stessi, esponendoci a un faticoso, ma liberante, “test di verità”: infatti, chi si è sottoposto a questa “esplorazione d’anima” sa quanto sono forti le resistenze che si attivano quando lasciamo accendere, dentro di noi, la luce del Vangelo e ci apprestiamo a fare pulizia nella nostra personalità profonda.

Per abbassare le “alture impervie” del nostro carattere occorre rimuovere progressivamente ogni “sovrappiù negativo” che ostacola il passaggio della grazia: operazione, questa, che comporta uno smantellamento sistematico dei nostri stili di vita “spiritualmente obesi”, attuato attraverso la perseverante ripetizione di gesti virtuosi (analoghi a colpi di piccone che, pezzo dopo pezzo, demoliscono muri di cemento), come anche attraverso svolte decisionali, forti e determinate (simili a cariche di dinamite che frantumano barriere rocciose).

È la strategia che i maestri dello spirito definiscono dell’“agere contra”, cioè dell’operare in direzione opposta rispetto alla spinta scatenata dalle varie patologie dell’anima. Ciò richiede il ricorso alla medicina delle virtù contrarie rispetto ai vizi che si intendono combattere: così la malattia dell’orgoglio si cura con dosi progressive di umiltà, quella dell’indolenza con applicazioni di generosità, quella dell’ira con la terapia della pazienza, quella dell’avarizia con somministrazioni di carità, quella dell’impurità con l’esercizio della castità, quella dell’invidia con trasfusioni di bontà, quella dell’edonismo con il metodico ricorso alla sobrietà.

Invece, per “colmare gli avvallamenti interiori”, cioè per riempire i vuoti nella nostra vita di fede e nella pratica morale, occorre l’impegno serio ed organico a far crescere ciò che appare sottosviluppato e atrofico.

Dove non c’è amore – sentenziava san Giovanni della Croce – bisogna mettere amore e si troverà amore. Sappiamo di poter attingere largamente alle “fonti della Vita” (cfr. Gv 7,37-39), che il Signore fa scaturire in abbondanza nella Chiesa, per potenziare la nostra capacità di pensare secondo Cristo, rinvigorire la nostra dedizione al prossimo – specie se in difficoltà – e tenere ferma la rotta verso l’orizzonte ultimo della speranza.

Il Signore è venuto e viene fra di noi, in ogni Natale, proprio per abitare le zone più impervie della nostra indigenza e moltiplicare le nostre scarse risorse, trasformando le nostre povertà in ricchezza (cfr. Lc 9,12-17).

Per agire con successo in questa opera di bonifica del cuore, è fondamentale evitare la dispersione dell’impegno e puntare su obiettivi specifici e ben localizzati nella geografia dell’anima, prendendo di mira i difetti che emergono con maggiore evidenza. In questa indagine risulta essenziale il parere del prossimo più prossimo (familiari e amici stretti). L’importante è che ogni giorno si sviluppino, anche se di poco, le nostre virtù, proprio sul terreno in cui prima dovevamo lamentare il bilancio peggiore.

Il Signore-che-viene ci ha aperto la strada verso mete altissime e ci accompagna giorno dopo giorno (cfr. Mt 28,20) per consentirci di raggiungerle. Nella grande palestra della Chiesa chiunque può diventare un valido atleta della carità, se si sottopone ad allenamenti quotidiani e si procura alimenti altamente energetici nella illimitata dispensa della grazia (anzitutto attraverso i sacramenti e la preghiera). Prova ne è l’immensa schiera dei santi, che – pur nella loro straordinaria diversità – hanno in comune la radicale tensione a compiere, sempre e fino in fondo, la volontà di Dio.

Siamo esortati a “raddrizzare” le vie storte della nostra esistenza e renderle transitabili ad un rapporto sincero e costruttivo (cfr. Lc 3,4): con Dio, con noi stessi e con gli altri. Ci sono, infatti, zone e sentieri della nostra persona che sembrano aperti e percorribili, ma, nei fatti, risultano sbarrati da fili invisibili e disseminati di trappole insidiose: come avviene quando – nelle zone di guerra – ci si trova davanti a prati che appaiono verdi e ospitali, ma in realtà sono “campi minati”. Chi, incautamente, ci si avventura, finisce per provocare “esplosioni” che possono essere devastanti. Anche in noi e tra noi esistono spazi “interdetti” alla buona relazione (spesso non segnalati esplicitamente, talvolta connotati da minacciosi “avvertimenti”). Si tratta di rancori covati da lungo tempo; pregiudizi roventi compressi nei depositi psichici segreti; ricordi intrisi di aggressività e attraversati da desiderio di vendetta; attese di risarcimento per offese ricevute; problemi emotivamente carichi che, come molle, al primo contatto determinano violenti scatti comportamentali; sensibilità ad alto tasso di suscettibilità; modi di pensare e di agire che risultano blindati e impenetrabili al dialogo; interessi cattivi che non si è disposti a mettere in questione; episodi spiacevoli che sono stati rimossi… Le citazioni potrebbero andare quasi all’infinito! Quanti litigi e scontri scoppiano (in famiglia, con parenti, tra colleghi di lavoro e persone amiche…) perché – spesso senza avvedersene – sono state scavalcate quelle “palizzate occulte” e invasi quei “perimetri proibiti”! La prova lampante che si è messo il piede su qualche “mina emotiva” è costituita dalle reazioni rabbiose o da chiusure ermetiche che si attivano improvvisamente e in modo imprevedibile. Proprio così: purtroppo non è difficile constatare che una parola o un gesto, considerati come polemici e offensivi, possono causare “boati affettivi” e provocare gravi guasti nei vincoli interpersonali. A tutti è noto che non è facile, poi, ricomporre fratture che hanno rotto legami in precedenza solidi e ricostruire rapporti positivi dove compaiono “macerie” relazionali.

Bisogna scoprire e rimuovere le“linee rosse” illegittime che, di fatto, disegnano confini ostili – da non valicare, pena l’andare incontro a dissidi ustionanti – negli spazi della mente, del cuore e delle azioni. Il Natale è l’occasione privilegiata per togliere questi reticolati, che impediscono la circolazione della carità, e “sminare” i nostri atteggiamenti, liberandoli da polemiche, inimicizie, violenze. Anche dentro di noi, purtroppo, possono essere attivi gli oscuri “cantieri del male”: occorre, perciò, lasciar entrare il Signore in questi territori altamente conflittivi, in cui noi stessi rifiutiamo di entrare. Lui solo, infatti, può sanare ferite antiche, darci la forza di superare le avversità del presente e consentirci di affrontare serenamente il futuro. A tutti e in tutto il Verbo-fatto-carne porta luce, amore e speranza, se viene accolto con fede e umiltà. Rendersi disponibili a questo incontro, che ci chiede di cambiare, non è facile: anche in noi, infatti, si può manifestare una acuta allergia alla conversione. Dobbiamo, perciò, mantenerci vigilanti, per fare posto al Signore in ogni angolo della nostra vita.

Nei campi della storia, dove il Vangelo è seminato e mette radici profonde, crescono e portano frutti meravigliosi gli alberi della gioia, della comunione e della pace. Si tratta di una esperienza che tutti possono fare, se lasciano riecheggiare in loro il “sì” di Maria. Ed è questa la scoperta fatta anche da una giovane donna, che mi scriveva: «è una pace che non si dà per caso, ma dipende dal lavoro su me stessa e dalla decisione di accogliermi in modo incondizionato e di congedarmi dalle illusioni che finora ho alimentato su me stessa. Questo significa – grazie a Dio – riconciliarmi con quella che sono e imparare a dirmi di sì».

In questo Natale, come Chiesa in cammino, siamo esortati a rinnovare, con slancio moltiplicato, la professione convinta della nostra fede: infatti «solo credendo – scrive Benedetto XVI – la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio».

Coraggio, dunque! Ciascuno di noi può e deve essere protagonista nella grande avventura di scalare, con l’aiuto del Signore, le vette della santità. Questi tipi di ascesa però non si possono fare “in solitaria”, ma sempre ben collegati in “cordate-Chiesa”, perché, quelle in cui si avanza sono le splendide montagne della comunione. Si tratta, dunque, di rinsaldare i legami della carità fraterna: che sa correggere, che sostiene e aiuta a migliorare.

Alla luce di queste entusiasmanti prospettive, a tutti giungano i più cordiali auguri di buon Natale, nella gioiosa consapevolezza che il Figlio di Dio si è fatto uomo, perché ciascuno di noi, grazie a Lui, potesse diventare un vero figlio di Dio.

+ Giuseppe Petrocchi 

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