DELITTO DEL CIRCEO, GIANNI GUIDO E’ LIBERO: PENA SCONTATA

26/08/2009 di

Da ventiquattro ore è un uomo libero: Gianni Guido, uno dei tre responsabili della strage del Circeo, ha da ieri chiuso i conti con la giustizia italiana. «Fine pena 25 agosto 2009», è scritto sulla sua scheda del casellario giudiziario. L’orami 53enne ex ragazzo della borghesia romana che assieme ad Angelo Izzo e Andrea Ghira seviziò e uccise Rosaria Lopez e ridusse in fin di vita Donatella Colasanti in una villa del Circeo la notte del 30 settembre 1975, non ha più l’obbligo di dimora nella casa dei genitori così come previsto dall’affidamento ai servizi sociali che il Tribunale sorveglianza gli aveva concesso l’11 aprile 2008.

Figlio di un alto dirigente di banca, Guido è l’unico dei tre massacratori del Circeo ad avere scontato la pena e ad essere tornato in libertà senza più alcun obbligo di comunicazione dei propri spostamenti in Questura e con la possibilità di fare domanda per riavere il passaporto. Condannato all’ergastolo in primo grado, la pena di Guido fu ridotta in appello a 30 anni dopo una dichiarazione di pentimento e dopo un risarcimento di cento milioni di lire alla famiglia Lopez (che rinunciò a costituirsi parte civile). In carcere, di fatto, Guido ha trascorso una ventina d’anni, anche se in passato le provò tutte pur di non restare in cella: nel 1981 fuggì dal penitenziario di San Gimignano per rifugiarsi in Argentina, dove fu arrestato due anni dopo; nel 1985 evase anche dal carcere di Buenos Aires e riparò a Panama, ma la sua latitanza finì nel 1994. Considerate le evasioni, avrebbe dovuto scontare ben più di 30 anni che gli erano stati inflitti per la strage del Circeo, ma tra indulti, benefici penitenziari previsti dalla ‘Gozzinì, regime di semilibertà e infine affidamento in prova ai servizi sociali, la pena di Gianni Guido è arrivata ormai al termine. I giudici del Tribunale di sorveglianza di Roma che nel 2008 lo hanno affidato in prova ai servizi sociali hanno scritto che Guido ha fatto un percorso di «silenzioso pentimento». Per gli altri responsabili della strage del Circeo è andata diversamente: Andrea Ghira, subito fuggito all’estero, è morto in Marocco (le sue spoglie sono a Melilla, nel cimitero dei legionari spagnoli). Angelo Izzo, invece, è di nuovo in carcere a scontare un altro ergastolo dopo che, nell’aprile del 2005, rimesso in semilibertà, tornò a seviziare e ad uccidere una donna, Maria Carmela Linciano, e sua figlia Valentina di 14 anni.

Il delitto del Circeo. Violenze e sevizie di ogni tipo per una notte intera in una villetta al Circeo, la spiaggia della ‘benè romana. Una vicenda di cronaca indelebile nella memoria collettiva, tanto che da subito ‘quellà notte sarà ricordata come la notte del «massacro del Circeo». A finire nelle mani di tre aguzzini ‘pariolinì – i teppisti neofascisti Angelo Izzo e Andrea Ghira, ed il figlio di un alto funzionario di banca, Gianni Guido – furono Maria Rosaria Lopez, che fu uccisa, e Donatella Colasanti, trovata in fin di vita, giusto in tempo perchè potesse salvarsi, almeno fisicamente. Un vigile notturno il 30 settembre 1975 in via Pola si avvicinò ad una ‘Fiat 127’ dalla quale provenivano gemiti e nel bagagliaio scoprì i corpi delle due ragazze avvolti in sacchi di plastica. L’auto era di proprietà di Gianni Guido che, rintracciato subito dai carabinieri, confessò la partecipazione al ‘festinò e fece i nomi dei suoi due complici, rampolli di agiate famiglie capitoline. Maria Rosaria Lopez e Donatella Colasanti avevano conosciuto casualmente a Roma Angelo Izzo, Gianni Guido e un altro ragazzo, risultato poi completamente estraneo al massacro. Ed avevano accettato, il 29 settembre 1975, di partecipare ad una ‘festicciolà tra amici nella villa del padre di Andrea Ghira, ma da subito, una volta in auto con i tre ragazzi, le giovani compresero che non ci sarebbero stati molti motivi di spensieratezza e gioia per quell’ appuntamento. Nel corso delle sevizie ininterrotte, Maria Rosaria Lopez perse i sensi ed i ragazzi la uccisero immergendole ripetutamente la testa nella vasca da bagno. Donatella Colasanti riuscì ad evitare la morte perchè, sottoposta ad una bastonatura, si finse morta ingannando i suoi torturatori. A quel punto i ragazzi avvolsero i due corpi in buste di plastica, li caricarono nel bagagliaio dell’ auto e tornarono a Roma. In città parcheggiarono la vettura davanti all’ abitazione di uno dei tre e si allontanarono, forse prevedendo di sbarazzarsi dei corpi in un secondo momento. Donatella Colasanti accortasi che l’auto era stata abbandonata, cominciò a gemere richiamando l’attenzione di un vigile notturno che la salvò.

I giudici: E’ pentito. Gianni Guido ha compiuto una «revisione critica dei trascorsi devianti» e un «silenzioso pentimento» rispetto alle condotte violente del passato. I giudici del Tribunale di sorveglianza di Roma che nell’aprile del 2008 hanno concesso ad uno dei massacratori del Circeo di uscire dal carcere per affidarlo in prova ai servizi sociali hanno messo nero su bianco i motivi per cui l’ex ragazzo della borghesia romana è da ritenersi ora un uomo diverso. In carcere – è scritto nel provvedimento – Guido ha attraverso una condotta sempre regolare, con una partecipazione convinta alle attività trattamentali (psicoterapia, impegno nello studio con il conseguimento della laurea in Lettere, riscoperta dei valori della religione), e infine con un reinserimento lavorativo in una cooperativa di Civitavecchia che si occupa di disagio sociale. Grazie al suo percorso di «silenzioso pentimento», a partire dal luglio del 2006 ha ottenuto una serie di permessi premio, e un anno dopo la semilibertà, che ha trascorso uscendo la mattina dal carcere di Civitavecchia per andare a lavorare nella cooperativa ‘Fuori centrò e tornando la sera in cella. Anche le più recenti relazioni su di lui della Questura di Roma e degli operatori penitenziari – facevano notare i giudici di sorveglianza – avvalorerebbero l«assenza di pericolosità sociale», peraltro già segnalata nel 2001 dalla psicologa del carcere di Milano dove Guido ha scontato quattro anni di carcere. Dall’aprile del 2008 fino a ieri, quando ha terminato di scontare la pena, Guido ha dovuto sottostare agli obblighi prescritti dal Tribunale di sorveglianza, tra cui quello di rincasare la sera nell’abitazione dei genitori, a Roma; di ricercare un lavoro stabile; di proseguire la psicoterapia; di svolgere attività di volontariato.

Sorella Lopez: “Ferita riaperta”. «È una ferita che si è riaperta ancora una volta. È ancora sento la rabbia che mi mangia il cuore e l’anima ma tanto non c’è nulla da fare in questo Paese la giustizia non funziona. Gianni Guido che massacrò mia sorella, andò a casa a cenare e poi tornò al Circeo a finire quello che aveva cominciato, è libero e chi ruba una mela, i poveracci stanno in galera». Lo sfogo è di Letizia Lopez, sorella di Rosaria, uccisa a seviziata al Circeo nel settembre del 1975. Il cadavere di Rosaria fu trovato in una 127, parcheggiata in viale Pola a Roma, insieme a una agonizzante Donatella Colasanti a pochi metri dall’abitazione dei genitori di Gianni Guido nel quartiere Trieste a Roma. «Il signor Guido non ha affatto scontato la sua pena; è andato in Argentina, è scappato all’estero – dice Letizia Lopez – ha fatto gran parte della condanna ai servizi sociali, ha usufruito di permessi. Ma insomma mi chiedo con quale coraggio una persona così con quello che ha fatto, e senza mostrare pentimento, ora gira libero per Roma». Letizia Lopez da alcuni anni si è trasferita a Roma. «Potrei incontrarlo in strada anche stasera – dice Letizia Lopez – cosa gli farei? Davvero non lo so, non sono una persona violenta, ma credo che gli chiederei come sta, come si sente, come fa a vivere con quei mostri che gli abitano nell’anima. In questi anni, più che pensare a Gianni Guido, che non ci ha chiesto mai veramente perdono, mi è venuta voglia di andare sotto casa dei genitori, anche di quelli di Andrea Ghira: avrei avuto voglia di sistemare uno striscione con la scritta ‘assassinì. Credo che la responsabilità di quello che hanno fatto queste persone, che allora erano poco piu di ragazzi, sia anche da attribuire ai loro genitori». Letizia Lopez non crede neppure alla morte di Andrea Ghira, anche se una perizia della procura di Roma e il dna dimostrò che era sua la salma trovata nel cimitero della Legione straniera, dove si era arruolato, nella enclave spagnola di Melilla in Marocco. «Ho sempre pensato che questa è gente ricca che ha avuto coperture importanti – dice Letizia Lopez – mi sto battendo per far riaprire quel caso, ma trovare un perito e convincere un magistrato a far rifare il dna è impossibile». Infine Angelo Izzo:« Fra un pò uscirà anche lui – dice la sorella di Rosaria Lopez – d’altronde si è visto quando è uscito quello che ha fatto: ne ha ammazzate altre due, madre e figlia». Di diversa opinione, almeno su Gianni Guido, è il legale di Letizia Lopez, l’avvocato Antonio Gattuso. «Gianni Guido – dice – forse è l’unico che ha veramente pagato il suo debito con la giustizia. Ha fatto la galera, e mi risulta che la famiglia abbia pagato ai tempi 100 milioni di lire come risarcimento».

Chi è Gianni Guido. Gianni Guido fu arrestato con Angelo Izzo il primo ottobre del 1975 per il «massacro del Circeo». Il 29 luglio 1976, la corte d’ assise di Latina condannò all’ ergastolo Guido, Izzo e Andrea Ghira, sempre rimasto latitante, trovato poi morto, in un cimitero della Legione straniera nell’enclave spagnola di Melilla in Marocco. Il 31 gennaio 1977, insieme ad altri due detenuti, Guido e Izzo tentarono di evadere dal carcere di Latina, ma furono catturati e condannati a quattro anni di reclusione (sentenza definitiva). Il 27 ottobre 1980, la Corte d’ assise d’ appello di Roma confermò la condanna all’ ergastolo per Ghira e Izzo, ma ridusse a 30 anni la pena per Gianni Guido, riconoscendogli le attenuanti generiche grazie anche a un risarcimento di 100 milioni pagato alla famiglia di Rosaria Lopez (la stessa cifra fu rifiutata dalla Colasanti). La sentenza fu poi confermata dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione, il 22 ottobre 1983. Nel frattempo, il 25 gennaio 1981, Gianni Guido era evaso dal carcere di San Gimignano (Siena) dopo aver colpito una guardia carceraria con un posacenere. Per l’ evasione Guido fu condannato a quattro anni e sei mesi, l’ appuntato degli agenti di custodia Mario Guazzini fu condannato a otto mesi per interesse privato in atti d’ ufficio. I genitori di Guido, Raffaele Guido e Maria Pia Ciampa, furono invece assolti con formula piena dall’ accusa di corruzione. Il 27 gennaio 1983, Gianni Guido fu di nuovo arrestato a Buenos Aires, in Argentina, dove vendeva automobili sotto il falso nome di Andrea Mariani e accusato di possesso di documenti falsi. In settembre l’ Argentina concesse l’ estradizione, sospesa però fino alla definizione del procedimento penale in corso per reati commessi nel paese. Per questa accusa, Guido sarà condannato a sei mesi. Il 15 aprile del 1985, Guido riuscì però a fuggire dall’ ospedale Manuel Rocco di Buenos Aires, dove era ricoverato per lesioni procuratesi in un ennesimo tentativo di evasione dal carcere Villa Devoto. Da allora si perdono le sue tracce finchè non viene arrestato nel maggio del 1994 a Panama dalla polizia e dai carabinieri. Fino a sei mesi Guido ha lavorato come in una cooperativa sociale in regime di semilibertà per l’assistenza ai detenuti a Civitavecchia (Roma) e poi con la Caritas.

Gianni Guido era il meno cattivo. «Gianni Guido, durante il processo, appariva come il meno pericoloso dei massacratori del Circeo, mentre Angelo Izzo si vedeva che era molto aggressivo e, secondo me, aveva problemi psichici, tant’è che avevo chiesto ai miei colleghi di non opporsi alla richiesta di perizia psichiatrica. Ma andai in minoranza». Lo ricorda Nino Marazzita uno dei cosiddetti ‘avvocati progressistì che difese, come parte civile, le due vittime Rosaria Lopez e Donatella Colasanti insieme ai colleghi – oggi scomparsi – Fausto Tarsitano, Tina Lagostena Bassi e Maria Causarano. «Quando una persona sconta per intero la sua pena, è giusto che esca: siamo in uno stato di diritto – rileva Marazzita – e il carcere ha una funzione rieducativa, anche se quasi mai riesce ad assolverla. A Guida auguro di aver fatto questo percorso, anche se raramente ho visto migliorare chi è stato in prigione». «Il processo del Circeo – ricorda Marazzita – fu il primo nel quale, per la particolare ferocia delle sevizie inflitte, i giudici riconobbero che la violenza sessuale doveva essere considerato un reato contro la persona e non contro la morale. Fu una battaglia che richiese dieci anni, ma alla fine ce l’abbiamo fatta».

Proteste di Telefono Rosa. La presidente di Telefono Rosa Gabriella Moscatelli, «pur nella convinzione che i magistrati abbiano operato secondo quanto previsto dalla legge», chiede in una nota «che divenga un’urgenza politica la discussione sui benefici di cui uno dei ‘mostri del Circeò ha potuto godere e grazie ai quali oggi è libero». «In Italia – dice Moscatelli – quando a morire le donne, riusciamo troppo raramente a vedere condanne che vengano scontate fino alla fine. Questo caso, di aberrante e inaudita violenza, ha ‘meritatò i benefici di indulto, sconti di pena e regime di semi-libertà. Come è possibile? Ci chiediamo: cosa deve avvenire ad una donna perché il suo aguzzino resti in carcere? E ci chiediamo: come può un esempio simile non indurre a pensare, chi quotidianamente commette pesantissime violenze fisiche sulle donne (quasi sempre tra le mura domestiche), che tanto ‘comunque la farebbe francà?» «L’Italia – conclude – deve intentare una vera battaglia collettiva contro la violenza sulle donne, combattendo linguaggi e stereotipi che impediscono di condannare duramente e senza attenuanti chi uccide, stupra, distrugge la vita delle donne, dentro e fuori la porta di casa».

 

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